mercoledì 27 gennaio 2021

Dobbiamo sbatterci il muso contro la realtà!

Saper dire no. E insegnare a rispettare il no.
Cominciamo col dire che una bambina di 10 anni non può, per legge, avere un
profilo social.
Sono tante le cose che un minorenne, per legge, non potrebbe fare ma fa tranquillamente.
È vero: una 15enne può andare in farmacia e senza ricetta medica né consenso dei genitori può acquistare la pillola per abortire; ma tenuto conto del valore che la nostra società da' alla vita umana, alla sua protezione e valorizzazione, non c'è da meravigliarsi. 
Una persona minorenne, per legge, non può fare acquisti on line; eppure questo (lo dico per esperienza personale, visto che lavoro anche per un corriere) avviene quotidianamente. E non si può dire che i genitori potrebbero non esserne a conoscenza, visto che sono loro che forniscono i soldi e/o l'accesso ad una carta di credito.
Mi è capitato di ascoltare una trasmisisone radiofonica, a proposito della morte della bambina di Palermo per asfissia dovuta al gioco sul social, in cui un genitore si vantava di avere una figlia 10enne saggia. Infatti prima di Natale ha chiesto di avere Tik Tok e i genitori gliel'hano concesso, ma solo con l'utilizzo dai loro telefonini, per poter controllare quello che ne faceva. Poi a Natale le hanno regalato il telefonino (a 10 anni...) e ha installato il social anche lì. Dopo la tragedia dell'altra bambina i genitori le hanno chiesto di disinstallare TT e lei ha risposto: ma io l'ho già tolto sia dal mio telefonino che dal vostro! Tutta questa cosa con l'orgoglio dei genitori, che hanno pensato di avere, appunto, una figlia saggia. Ma che non si sono però resi conto che la loro figlia era entrata nei loro cellulari e vi aveva fatto delle operazioni a loro insaputa. Perciò mi chiedo: che controllo reale (in senso positivo!) hanno questi genitori sulla loro figlia e su ciò che fa?
Mi direte che i figli non vanno controllati, che bisogna dare loro fiducia, ecc. ecc .
No. I genitori devono sapere ciò cosa fanno i loro figli, almeno fino a che questi non hanno la maturità sufficiente per sbagliare per conto loro e saperne pagare le conseguenze. Come dice Paolo Conte: è nel mondo degli adulti che si sbaglia da professionisti.
Un genitore è un genitore, altrimenti sarebbe un amico, un insegnante, un collega di lavoro, un compagno del calcetto o della pallavolo. 
Capisco che il senso dei ruoli non esiste più nella nostra società e scegliamo noi quello che vogliamo fare e quello che non vogliamo fare. Ma qui non si tratta di essere incerti tra un gelato alla fragola e uno alla cassata siciliana; qui si tratta di fare il genitore, quello che una volta veniva definito il mestiere più difficile al mondo.
Poi è arrivato il '68, i figli dei fiori, la droga 'leggera' (nel senso che ti accompagna piano piano, con leggerezza, a sballarti il cervello con cocaina, eroina e lsd), e allora i genitori sono diventati obsoleti, un'istituzione del potere da abbattere, cancellare; tranne quando ti servivano i soldi per comprarti il pulmino volkswagen su cui caricare gli amici e farti il viaggio in India o in Olanda.
Sono troppo drastico e duro?
Certo, voi come reagireste davanti ad una bambina di 10 anni che muore per un 'gioco' su un social?
Possiamo fare tutte le analisi che vogliamo, ma dobbiamo anzitutto guardare in faccia la realtà, partire da ciò che succede quotidianamente. Altrimenti faremo discorsi da turris eburnea, come quei filosofi e pensatori che ragionano su un mondo che non esiste se non nella torre in cui si sono rinchiusi per lasciare fuori la vita.
Per l'esame di metodologia pedagogica ho studiato su un libro di cui non ricordo né titolo né autore (sono passati più di 30 anni...). Ma ricordo le parole dell'introduzione, in cui l'autore diceva più o meno così: ho già scritto 2 libri sull'argomento (l'educazione di bambini e adolescenti). Poi ho avuto un figlio e ho capito che ne dovevo scrivere un altro in cui si parla di cose vere e non accademiche.
Ora questa bambina (come quell'altro di 9 anni che probabilmente voleva emularla) è diventata un angioletto, con contorno di cuoricini, frasi mielose e spezzacuore sugli striscioni e sui social.
Ma noi siamo una società che non bada alla conseguenza delle proprie azioni e trova sempre il modo di giustificarsi e lavarsi la coscienza con qualche rito assolutorio e catartico.
E perciò ormai è tutto passato. Una vita umana è salita in cielo coi palloncini del funerale e noi siamo tranquilli, è di nuovo tutto ok.
Spiegatemi pure tutte le cose che volete; ragionatemi sul fatto che non è più il tempo delle punizioni corporali (con cui siamo cresciuti tutti quelli della mia età), che esiste la fiducia nei giovani, l'amicizia tra genitori e figli... tutto ciò che volete.
Io vi metterò sempre davanti una bambina di 10 anni che aveva la fiducia dei suoi genitori, che aveva nel web il suo mondo, che è morta perché aveva un telefonino su cui aveva installato un social e che per causa di questo social non c'è più.
Perché io ragiono molto sui fatti e poco sulle parole.
E perciò: possiamo usare tutti i metodi educativi che vogliamo, ma dobbiamo sempre partire dal presupposto (se gli vogliamo bene) che i bambini sono bambini.
 

 
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

Dobbiamo sbatterci il muso contro la realtà!

Saper dire no. E insegnare a rispettare il no.
Cominciamo col dire che una bambina di 10 anni non può, per legge, avere un
profilo social.
Sono tante le cose che un minorenne, per legge, non potrebbe fare ma fa tranquillamente.
È vero: una 15enne può andare in farmacia e senza ricetta medica né consenso dei genitori può acquistare la pillola per abortire; ma tenuto conto del valore che la nostra società da' alla vita umana, alla sua protezione e valorizzazione, non c'è da meravigliarsi. 
Una persona minorenne, per legge, non può fare acquisti on line; eppure questo (lo dico per esperienza personale, visto che lavoro anche per un corriere) avviene quotidianamente. E non si può dire che i genitori potrebbero non esserne a conoscenza, visto che sono loro che forniscono i soldi e/o l'accesso ad una carta di credito.
Mi è capitato di ascoltare una trasmisisone radiofonica, a proposito della morte della bambina di Palermo per asfissia dovuta al gioco sul social, in cui un genitore si vantava di avere una figlia 10enne saggia. Infatti prima di Natale ha chiesto di avere Tik Tok e i genitori gliel'hano concesso, ma solo con l'utilizzo dai loro telefonini, per poter controllare quello che ne faceva. Poi a Natale le hanno regalato il telefonino (a 10 anni...) e ha installato il social anche lì. Dopo la tragedia dell'altra bambina i genitori le hanno chiesto di disinstallare TT e lei ha risposto: ma io l'ho già tolto sia dal mio telefonino che dal vostro! Tutta questa cosa con l'orgoglio dei genitori, che hanno pensato di avere, appunto, una figlia saggia. Ma che non si sono però resi conto che la loro figlia era entrata nei loro cellulari e vi aveva fatto delle operazioni a loro insaputa. Perciò mi chiedo: che controllo reale (in senso positivo!) hanno questi genitori sulla loro figlia e su ciò che fa?
Mi direte che i figli non vanno controllati, che bisogna dare loro fiducia, ecc. ecc .
No. I genitori devono sapere ciò cosa fanno i loro figli, almeno fino a che questi non hanno la maturità sufficiente per sbagliare per conto loro e saperne pagare le conseguenze. Come dice Paolo Conte: è nel mondo degli adulti che si sbaglia da professionisti.
Un genitore è un genitore, altrimenti sarebbe un amico, un insegnante, un collega di lavoro, un compagno del calcetto o della pallavolo. 
Capisco che il senso dei ruoli non esiste più nella nostra società e scegliamo noi quello che vogliamo fare e quello che non vogliamo fare. Ma qui non si tratta di essere incerti tra un gelato alla fragola e uno alla cassata siciliana; qui si tratta di fare il genitore, quello che una volta veniva definito il mestiere più difficile al mondo.
Poi è arrivato il '68, i figli dei fiori, la droga 'leggera' (nel senso che ti accompagna piano piano, con leggerezza, a sballarti il cervello con cocaina, eroina e lsd), e allora i genitori sono diventati obsoleti, un'istituzione del potere da abbattere, cancellare; tranne quando ti servivano i soldi per comprarti il pulmino volkswagen su cui caricare gli amici e farti il viaggio in India o in Olanda.
Sono troppo drastico e duro?
Certo, voi come reagireste davanti ad una bambina di 10 anni che muore per un 'gioco' su un social?
Possiamo fare tutte le analisi che vogliamo, ma dobbiamo anzitutto guardare in faccia la realtà, partire da ciò che succede quotidianamente. Altrimenti faremo discorsi da turris eburnea, come quei filosofi e pensatori che ragionano su un mondo che non esiste se non nella torre in cui si sono rinchiusi per lasciare fuori la vita.
Per l'esame di metodologia pedagogica ho studiato su un libro di cui non ricordo né titolo né autore (sono passati più di 30 anni...). Ma ricordo le parole dell'introduzione, in cui l'autore diceva più o meno così: ho già scritto 2 libri sull'argomento (l'educazione di bambini e adolescenti). Poi ho avuto un figlio e ho capito che ne dovevo scrivere un altro in cui si parla di cose vere e non accademiche.
Ora questa bambina (come quell'altro di 9 anni che probabilmente voleva emularla) è diventata un angioletto, con contorno di cuoricini, frasi mielose e spezzacuore sugli striscioni e sui social.
Ma noi siamo una società che non bada alla conseguenza delle proprie azioni e trova sempre il modo di giustificarsi e lavarsi la coscienza con qualche rito assolutorio e catartico.
E perciò ormai è tutto passato. Una vita umana è salita in cielo coi palloncini del funerale e noi siamo tranquilli, è di nuovo tutto ok.
Spiegatemi pure tutte le cose che volete; ragionatemi sul fatto che non è più il tempo delle punizioni corporali (con cui siamo cresciuti tutti quelli della mia età), che esiste la fiducia nei giovani, l'amicizia tra genitori e figli... tutto ciò che volete.
Io vi metterò sempre davanti una bambina di 10 anni che aveva la fiducia dei suoi genitori, che aveva nel web il suo mondo, che è morta perché aveva un telefonino su cui aveva installato un social e che per causa di questo social non c'è più.
Perché io ragiono molto sui fatti e poco sulle parole.
E perciò: possiamo usare tutti i metodi educativi che vogliamo, ma dobbiamo sempre partire dal presupposto (se gli vogliamo bene) che i bambini sono bambini.
 

 
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

venerdì 22 gennaio 2021

Io contesto. Appunti.

In fuga dalla critica di Pere Borrell del Caso (1874)
Io contesto l'uomo senza anima.
Lo vedo camminare per la strada: sguardo vuoto, spento. Mente sempre altrove, non per un sogno, per seguire un'ideale (seppure qualunque), ma in cerca di un estraneo (un pensiero, una persona, una macchina) che pensi per lui, che viva per lui, che dica cosa fare e dove andare.
 
Io contesto l'uomo senza coscienza.
L'uomo senza un presupposto interiore, scisso da sé stesso, incapace di sbirciare nella propria anima e di trovare una via.
 
Io contesto l'uomo pauroso di trovare la propria anima e di doverla seguiire.
 
Io piango per l'uomo che non vive d'arte, che non legge in un quadro un'altra vita e nei tramonti l'abbraccio della natura.
 
Io piango per l'uomo schiavo della macchina e di tutto ciò che la macchina rappresenta: la delega della propria unicità e creatività.
 
Io contesto il materialismo, il capitalsmo e il marxismo. E tutto ciò che divide e riduce gli uomini in branchi e classi: l'uomo è unico, irripetibile, potentemente libero.
E contesto anche l'anarchismo, perché la libertà dell'uomo esiste in quanto è libertà davanti ad un'altra libertà, con cui confrontarsi e convivere.
 
Io contesto la modernità fine a sé stessa. E l'amore per la tradizione fine a sé stesso. Perché ciò che è, è qui; anche se viene da un passato e va verso un futuro (l'uomo è un essere in divenire: deve diventare ciò che è nell'anima).
 
Io contesto una visione pessimista dell'uomo e dell'umanità.
Io contesto una visione ottimista dell'uomo e dell'umanità.
 
Io contesto il caos ma anche la calma stagnante. Il caos perché impedisce all'uomo di trovarsi in un esserci, un esser qui e ora; la calma stagnante perché lo fa annegare nell'acquitrino dell'evoluzione prima ancora di diventare individuo, persona.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

Io contesto. Appunti.

In fuga dalla critica di Pere Borrell del Caso (1874)
Io contesto l'uomo senza anima.
Lo vedo camminare per la strada: sguardo vuoto, spento. Mente sempre altrove, non per un sogno, per seguire un'ideale (seppure qualunque), ma in cerca di un estraneo (un pensiero, una persona, una macchina) che pensi per lui, che viva per lui, che dica cosa fare e dove andare.
 
Io contesto l'uomo senza coscienza.
L'uomo senza un presupposto interiore, scisso da sé stesso, incapace di sbirciare nella propria anima e di trovare una via.
 
Io contesto l'uomo pauroso di trovare la propria anima e di doverla seguiire.
 
Io piango per l'uomo che non vive d'arte, che non legge in un quadro un'altra vita e nei tramonti l'abbraccio della natura.
 
Io piango per l'uomo schiavo della macchina e di tutto ciò che la macchina rappresenta: la delega della propria unicità e creatività.
 
Io contesto il materialismo, il capitalsmo e il marxismo. E tutto ciò che divide e riduce gli uomini in branchi e classi: l'uomo è unico, irripetibile, potentemente libero.
E contesto anche l'anarchismo, perché la libertà dell'uomo esiste in quanto è libertà davanti ad un'altra libertà, con cui confrontarsi e convivere.
 
Io contesto la modernità fine a sé stessa. E l'amore per la tradizione fine a sé stesso. Perché ciò che è, è qui; anche se viene da un passato e va verso un futuro (l'uomo è un essere in divenire: deve diventare ciò che è nell'anima).
 
Io contesto una visione pessimista dell'uomo e dell'umanità.
Io contesto una visione ottimista dell'uomo e dell'umanità.
 
Io contesto il caos ma anche la calma stagnante. Il caos perché impedisce all'uomo di trovarsi in un esserci, un esser qui e ora; la calma stagnante perché lo fa annegare nell'acquitrino dell'evoluzione prima ancora di diventare individuo, persona.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

sabato 16 gennaio 2021

La persona al centro. Non siamo una X nel ciclo dell'azoto...

Con questo post voglio rispondere ai commenti degli amici Ariano e Nick al mio pezzo di ieri sul 
Covid19, poiché entrambi hanno sollevato i temi "Unione Europea" e dicotomia statalismo/privatizzaione.
Non voglio avventurarmi in considerazioni su temi e argomenti che non conosco bene, tanto per 'dire la mia' ad ogni costo; per non fare perciò la figura del 90% dei nostri politici, che trovano interessante il fatto che se aprono la bocca ne escano suoni più o meno articolati.
Certamente questa UE non è quella che avevano immaginato Rossi, Colorni e Spinelli col loro Manifesto di Ventotene; o Churchill (proprio un UK, i cui discendenti hanno combattuto per la Brexit!) che voleva fortemente gli Stati Uniti d'Europa; o De Gasperi, Schumann, Spaak, Adenauer... .
Troppa economia, poca persona al centro.
Ma questo è l'andazzo della società mondiale degli ultimi 100 anni.
Viviamo ancora in piena lotta tra capitalismo e marxismo e, com'è naturale, questo non aiuta a vedere il centro del problema: il mondo è fatto di persone non di classi sociali. Finché mettiamo al centro una classe sociale o un'altra, finché ragioneremo per contrapposizioni di gruppi, l'uomo nella sua integrità non verrà mai fuori.
Io sono un europeista convinto, ma quest'Europa posso sopportarla solo 'tappandomi il naso', come si diceva una volta, con l'auspicio che presto ci sia qualcuno capace di raddrizzare le cose, di farle tornare all'idea originaria. Ma ci vorrebbe qualcuno (inteso come gruppo, politico o no) che dia una spinta bella forte per il cambiamento; naturalmente con un ritorno ai pilastri di fondazione di cui ho parlato sopra.
E siamo al cane che si morde la coda: una società che è ormai indirizzata su determinati binari, può produrre un'idea forte che scombussoli lo status quo? Chi potrebbe e dovrebbe farlo?
Lo stesso discorso lo farei sul discorso di 'statalismo' - 'privatizzazione'. C'è bisogno di una via di mezzo che parta dai bisogni delle persone.
È un'utopia? certamente! Almeno in questa società.
Questo è anche il senso del mio discorso di ieri sul Covid19: la crisi umana e sociale avrebbe dovuto darci tempo e opportunità di fermarci a riflettere sulla situazione, sui disastri fatti dalla politica e dall'economia negli ultimi 50 anni. E invece ci siamo cullati in una specie di sonno indotto durato un paio di mesi lo scorso anno tra marzo e maggio, e quando siamo usciti abbiamo detto: ... e ora godiamoci tutto quello che non abbiamo fatto finora.
Vedere gente che gozzoviglia -con la quasi certezza di trasmettere ancora il virus- in spregio a chi sta morendo in una terapia intensiva, solo perché deve dimostrare di essere superiore (ma a cosa e a chi?) è per me la riprova che il covid19 è stato (anche) un'occasione persa per rimetterci in carreggiata. Senza dubbio perché le basi mancavano già da prima: come fai a desiderare una cosa se non sai che esista? Coma fai a capire che urge invertire la rotta, se non ti rendi conto che la rotta è sbagliata?
E se provassimo semplicemente a partire non dalla fine, cioé dalla risposta, ma dall'inizio, cioé dalla domanda? Se provassimo a chiederci: che rotta vogliamo dare alla nostra vita? alla nostra società?
Come lo vediamo il nostro mondo del futuro?
Sono le parole di un visionario, lo so. Ma io non sono chiamato, grazie a Dio!, a risolvere i problemi.
Sono chiamato solamente a governare la mia vita. E neanche quello, in verità, perché la mia vita l'ho messa nelle mani di Dio.
Ed è proprio la mia fede in Dio a dirmi che in ogni cosa le persone, le loro vite, la qualità della loro vita, devono essere al centro di ogni progetto.



Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
 

La persona al centro. Non siamo una X nel ciclo dell'azoto...

Con questo post voglio rispondere ai commenti degli amici Ariano e Nick al mio pezzo di ieri sul 
Covid19, poiché entrambi hanno sollevato i temi "Unione Europea" e dicotomia statalismo/privatizzaione.
Non voglio avventurarmi in considerazioni su temi e argomenti che non conosco bene, tanto per 'dire la mia' ad ogni costo; per non fare perciò la figura del 90% dei nostri politici, che trovano interessante il fatto che se aprono la bocca ne escano suoni più o meno articolati.
Certamente questa UE non è quella che avevano immaginato Rossi, Colorni e Spinelli col loro Manifesto di Ventotene; o Churchill (proprio un UK, i cui discendenti hanno combattuto per la Brexit!) che voleva fortemente gli Stati Uniti d'Europa; o De Gasperi, Schumann, Spaak, Adenauer... .
Troppa economia, poca persona al centro.
Ma questo è l'andazzo della società mondiale degli ultimi 100 anni.
Viviamo ancora in piena lotta tra capitalismo e marxismo e, com'è naturale, questo non aiuta a vedere il centro del problema: il mondo è fatto di persone non di classi sociali. Finché mettiamo al centro una classe sociale o un'altra, finché ragioneremo per contrapposizioni di gruppi, l'uomo nella sua integrità non verrà mai fuori.
Io sono un europeista convinto, ma quest'Europa posso sopportarla solo 'tappandomi il naso', come si diceva una volta, con l'auspicio che presto ci sia qualcuno capace di raddrizzare le cose, di farle tornare all'idea originaria. Ma ci vorrebbe qualcuno (inteso come gruppo, politico o no) che dia una spinta bella forte per il cambiamento; naturalmente con un ritorno ai pilastri di fondazione di cui ho parlato sopra.
E siamo al cane che si morde la coda: una società che è ormai indirizzata su determinati binari, può produrre un'idea forte che scombussoli lo status quo? Chi potrebbe e dovrebbe farlo?
Lo stesso discorso lo farei sul discorso di 'statalismo' - 'privatizzazione'. C'è bisogno di una via di mezzo che parta dai bisogni delle persone.
È un'utopia? certamente! Almeno in questa società.
Questo è anche il senso del mio discorso di ieri sul Covid19: la crisi umana e sociale avrebbe dovuto darci tempo e opportunità di fermarci a riflettere sulla situazione, sui disastri fatti dalla politica e dall'economia negli ultimi 50 anni. E invece ci siamo cullati in una specie di sonno indotto durato un paio di mesi lo scorso anno tra marzo e maggio, e quando siamo usciti abbiamo detto: ... e ora godiamoci tutto quello che non abbiamo fatto finora.
Vedere gente che gozzoviglia -con la quasi certezza di trasmettere ancora il virus- in spregio a chi sta morendo in una terapia intensiva, solo perché deve dimostrare di essere superiore (ma a cosa e a chi?) è per me la riprova che il covid19 è stato (anche) un'occasione persa per rimetterci in carreggiata. Senza dubbio perché le basi mancavano già da prima: come fai a desiderare una cosa se non sai che esista? Coma fai a capire che urge invertire la rotta, se non ti rendi conto che la rotta è sbagliata?
E se provassimo semplicemente a partire non dalla fine, cioé dalla risposta, ma dall'inizio, cioé dalla domanda? Se provassimo a chiederci: che rotta vogliamo dare alla nostra vita? alla nostra società?
Come lo vediamo il nostro mondo del futuro?
Sono le parole di un visionario, lo so. Ma io non sono chiamato, grazie a Dio!, a risolvere i problemi.
Sono chiamato solamente a governare la mia vita. E neanche quello, in verità, perché la mia vita l'ho messa nelle mani di Dio.
Ed è proprio la mia fede in Dio a dirmi che in ogni cosa le persone, le loro vite, la qualità della loro vita, devono essere al centro di ogni progetto.



Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
 

venerdì 15 gennaio 2021

Il Covid19? Prima la persona!

Siamo a quasi un anno dai nostri cinguettii e post su facebook, dalle nostre canzoni sui balconi, con cui ci dicevamo che "andrà tutto bene", che "ce la faremo" ecc. .
Passato questo tempo, non solo non ce l'abbiamo ancora fatta, ma non è neanche andato tutto bene.
Anzi.
Ci troviamo a combattere ancora non solo col virus, ma anche con una reazione abnorme di chi, prima sottovoce ora urlando, ripete teorie complottiste e fa 'battaglie' contro i vaccini, le mascherine, sulla perdita della 'libertà personale' fino a quella della 'democrazia' tout court.
Tutto questo amplificato da politici e maître à penser senza scrupolo.
Noi che abbiamo vissuto una certa epoca ricordiamo i 'cattivi maestri', che durante la lotta al terrorismo continuavano ad incitare dalle loro torri d'avorio intellettuali (giornali, TV...) alla lotta armata, direttamente e indirettamente.
Penso che da questo punto di vista non siamo molto lontani da quelle situazioni. Con la differenza che allora erano in pericolo poche vite (e mi scuso per questa espressione, perché anche una sola vita è sacra, anche quella di un pluriassassino); oggi stiamo parlando ancora di centinaia di morti al giorno.
Penso sia normale che una situazione così lunga (ormai quasi un anno, appunto) possa dare la stura a reazioni scomposte, a posizioni cristallizzate e indurite ma, come ha detto più di qualcuno, si è perso il senso della misura e i social hanno aiutato a cavalcare posizioni traballanti, bisognose di una spiegazione scientifica invece di una strampalata idea complottista, spesso fatta da cicero pro domo sua.
Non so quale sia stata la causa di questa sconfitta pesante e dolorosa (chiediamolo ai parenti delle vittime!), perché non sono un medico, un politico, un addetto ai lavori. Ma ho le mie idee, quelle di uomo della strada che vive sulla propria pelle, ogni giorno, limitazioni, cavilli burocratici, il variare di zone colorate in base a come cambia il vento dei contagi.
Detto in breve e senza preamboli, penso che la nostra società stia vivendo il trionfo del consumismo e del capitalismo.
Intendiamoci: io non do' addosso al capitalismo perché sono marxista. Non vedo infatti nei due sistemi molta differenza: in entrambi c'è una categoria, umana, produttiva e sociale, che deve prevalere sulle altre, col risultato che nessuna delle due vuole una società dove tutti abbiano la propria dignità, autonomia e libertà di espressione umana e culturale.
Dico solo che sono decenni che, in Italia e non solo, al primo posto nelle scelte politiche non c'è più l'uomo, la persona, ma la produttività, l'organizzazione.
Negli anni settanta ad esempio (lo ricordo bene perché mio padre ha lavorato per più di 20 anni nella sanità) si cominciò a parlare non più di Ospedale ma di Unità Sanitaria Locale: il primo passo perché la sanità diventasse un insieme di Aziende che erogano servizi ai clienti, come un tour operator o un ditta che produce condom. I dirigenti dovevano cominciare a pensare di essere non persone che si facevano in 4 per far in modo che tutti collaborassero per il bene dei malati e perché potessero al contempo capire che stavano portando a termine una missione; ma manager, con obiettivi posti da altri, da quelli che stavano più in alto. E tra questi obiettivi c'era sempre quello di far quadrare i conti.
Le persone, non solo nella sanità, hanno cominciato ad essere numeri, senza volto; cavoli da raccogliere quel tanto che bastava per arrivare a fine giornata e aver raggiunto l'obiettivo.
Le inchieste giudiziarie che stanno partendo in questi giorni sull'operato delle varie sanità regionali (in primis quella lombarda) davanti alla pandemia, mi sembra che vadano proprio in questa direzione.
Bisognava tenere aperto il più possibile le attività commerciali anche a costo di barare sui numeri, di nascondersi dietro un dito, un cavillo, una clausola, un: mi hanno detto di fare così.
Stiamo assistendo a spettacoli indecorosi di regioni che fanno di tutto per far risultare un numero più alto di tamponi per abbassare la percentuale di positivi.
Oggi (quando scrivo è il 15 gennaio 2021) ci sono stati 16.146 casi a fronte di 273.506 tamponi, con un'incidenza del 5,9% contro il quasi 11% di ieri.
Siamo stati più bravi a fare più tamponi (ieri sono stati 111.000 in meno)? No, abbiamo semplicemente aggiuto i test antigenici* a quelli molecolari. Se i calcoli fossero stati fatti col sistema solito, la percentuale sarebbe stata uguale a quella di ieri.
Badate: non stiamo parlando di chilogrammi di pere williams raccolte in un giorno, ma di persone che si sono ammalate; e il tasso percentuale serve a capire come comportarsi con le aperture / chiusure dei prossimi giorni.
Spero di aver espresso chiaramente il principio che mi sembra debba prevalere: anzitutto la persona.
Allora il commercio non è fatto di persone? Certamente, persone che hanno bisogno di un altro tipo di sostegno: non sanitario ma economico; e per economico intendo non solo fatto di ristori e rimborsi.
Anche perché se la gente continuerà a morire (e non se ne vede la fine ancora), chi entrerà nei negozi a comprare o nei ristoranti a consumare?
Come dire che siamo sull'orlo del precipizio.
Chi darà il colpo di grazia? 

Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
 



* Il test antigenico "ha elevate performance di sensibilità e specificità. In caso di positività sarà necessario effettuare a seguire il tampone molecolare" c'è scritto in rete. E ho letto che è diverso il concetto di 'sensibilità' a secondo che si parli di immunologia o di epidemiologia. Ma oltre non vado perché non è la mia materia.

Il Covid19? Prima la persona!

Siamo a quasi un anno dai nostri cinguettii e post su facebook, dalle nostre canzoni sui balconi, con cui ci dicevamo che "andrà tutto bene", che "ce la faremo" ecc. .
Passato questo tempo, non solo non ce l'abbiamo ancora fatta, ma non è neanche andato tutto bene.
Anzi.
Ci troviamo a combattere ancora non solo col virus, ma anche con una reazione abnorme di chi, prima sottovoce ora urlando, ripete teorie complottiste e fa 'battaglie' contro i vaccini, le mascherine, sulla perdita della 'libertà personale' fino a quella della 'democrazia' tout court.
Tutto questo amplificato da politici e maître à penser senza scrupolo.
Noi che abbiamo vissuto una certa epoca ricordiamo i 'cattivi maestri', che durante la lotta al terrorismo continuavano ad incitare dalle loro torri d'avorio intellettuali (giornali, TV...) alla lotta armata, direttamente e indirettamente.
Penso che da questo punto di vista non siamo molto lontani da quelle situazioni. Con la differenza che allora erano in pericolo poche vite (e mi scuso per questa espressione, perché anche una sola vita è sacra, anche quella di un pluriassassino); oggi stiamo parlando ancora di centinaia di morti al giorno.
Penso sia normale che una situazione così lunga (ormai quasi un anno, appunto) possa dare la stura a reazioni scomposte, a posizioni cristallizzate e indurite ma, come ha detto più di qualcuno, si è perso il senso della misura e i social hanno aiutato a cavalcare posizioni traballanti, bisognose di una spiegazione scientifica invece di una strampalata idea complottista, spesso fatta da cicero pro domo sua.
Non so quale sia stata la causa di questa sconfitta pesante e dolorosa (chiediamolo ai parenti delle vittime!), perché non sono un medico, un politico, un addetto ai lavori. Ma ho le mie idee, quelle di uomo della strada che vive sulla propria pelle, ogni giorno, limitazioni, cavilli burocratici, il variare di zone colorate in base a come cambia il vento dei contagi.
Detto in breve e senza preamboli, penso che la nostra società stia vivendo il trionfo del consumismo e del capitalismo.
Intendiamoci: io non do' addosso al capitalismo perché sono marxista. Non vedo infatti nei due sistemi molta differenza: in entrambi c'è una categoria, umana, produttiva e sociale, che deve prevalere sulle altre, col risultato che nessuna delle due vuole una società dove tutti abbiano la propria dignità, autonomia e libertà di espressione umana e culturale.
Dico solo che sono decenni che, in Italia e non solo, al primo posto nelle scelte politiche non c'è più l'uomo, la persona, ma la produttività, l'organizzazione.
Negli anni settanta ad esempio (lo ricordo bene perché mio padre ha lavorato per più di 20 anni nella sanità) si cominciò a parlare non più di Ospedale ma di Unità Sanitaria Locale: il primo passo perché la sanità diventasse un insieme di Aziende che erogano servizi ai clienti, come un tour operator o un ditta che produce condom. I dirigenti dovevano cominciare a pensare di essere non persone che si facevano in 4 per far in modo che tutti collaborassero per il bene dei malati e perché potessero al contempo capire che stavano portando a termine una missione; ma manager, con obiettivi posti da altri, da quelli che stavano più in alto. E tra questi obiettivi c'era sempre quello di far quadrare i conti.
Le persone, non solo nella sanità, hanno cominciato ad essere numeri, senza volto; cavoli da raccogliere quel tanto che bastava per arrivare a fine giornata e aver raggiunto l'obiettivo.
Le inchieste giudiziarie che stanno partendo in questi giorni sull'operato delle varie sanità regionali (in primis quella lombarda) davanti alla pandemia, mi sembra che vadano proprio in questa direzione.
Bisognava tenere aperto il più possibile le attività commerciali anche a costo di barare sui numeri, di nascondersi dietro un dito, un cavillo, una clausola, un: mi hanno detto di fare così.
Stiamo assistendo a spettacoli indecorosi di regioni che fanno di tutto per far risultare un numero più alto di tamponi per abbassare la percentuale di positivi.
Oggi (quando scrivo è il 15 gennaio 2021) ci sono stati 16.146 casi a fronte di 273.506 tamponi, con un'incidenza del 5,9% contro il quasi 11% di ieri.
Siamo stati più bravi a fare più tamponi (ieri sono stati 111.000 in meno)? No, abbiamo semplicemente aggiuto i test antigenici* a quelli molecolari. Se i calcoli fossero stati fatti col sistema solito, la percentuale sarebbe stata uguale a quella di ieri.
Badate: non stiamo parlando di chilogrammi di pere williams raccolte in un giorno, ma di persone che si sono ammalate; e il tasso percentuale serve a capire come comportarsi con le aperture / chiusure dei prossimi giorni.
Spero di aver espresso chiaramente il principio che mi sembra debba prevalere: anzitutto la persona.
Allora il commercio non è fatto di persone? Certamente, persone che hanno bisogno di un altro tipo di sostegno: non sanitario ma economico; e per economico intendo non solo fatto di ristori e rimborsi.
Anche perché se la gente continuerà a morire (e non se ne vede la fine ancora), chi entrerà nei negozi a comprare o nei ristoranti a consumare?
Come dire che siamo sull'orlo del precipizio.
Chi darà il colpo di grazia? 

Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
 



* Il test antigenico "ha elevate performance di sensibilità e specificità. In caso di positività sarà necessario effettuare a seguire il tampone molecolare" c'è scritto in rete. E ho letto che è diverso il concetto di 'sensibilità' a secondo che si parli di immunologia o di epidemiologia. Ma oltre non vado perché non è la mia materia.

venerdì 8 gennaio 2021

C'è vita nell'universo? C'è democrazia sui social? Ci deve essere?

Come tutti sapete (penso...) io ho un'attività commerciale.
Ora poniamo il caso che arrivi da me un tale che traffica in, mettiamo, cosmetici e mi chiede se può usare (gratis) un angolo del mio negozio per esporre e vendere i suoi prodotti.
Io accetto, perché se qualcuno entra ad acquistare un rossetto, poi magari compra anche un mio prodotto, o comunque per me si tratta di pubblicità gratuita.
Poniamo ora che io mi renda conto che quei prodotti cosmetici non sono, secondo il mio insindacabile giudizio, idonei ad essere venduti nel mio esercizio perché, ad esempio, non sono proprio il top, abbassano il range qualitativo della mia esposizione al pubblico; il pubblico che il prodotto mi porta è troppo invasivo, fa cagnara, mi mette tutto sotto sopra; o semplicemente il tipo mi sta sulle scatole per qualche motivo e non voglio dargli più il mio appoggio. 
Perciò, non essendoci un contratto vincolante, gli mando una bella letterina e lo metto alla porta.
Bene. 
Ora veniamo all'attualità: Facebook ha deciso, dopo la storia di Trump che ha aizzato i suoi sui social e provocato l'assalto a Capitol Hill (dicono le cronache), di sospendere l'account dell'ormai ex presidente a stelle e strisce per due settimane.
È giusto?
Sì, per me è giusto.
Perché Facebook è un'azienda privata e a casa sua può fare quello che vuole. D'altronde Mark fa tutto questo per campare e avrà una platea pubblicitaria di un certo tipo, attenta alla faccia che compare vicino al proprio marchio.
(Perché non sembra, ma nella vita visibile e tangibile comanda il politicamente corretto di sinistra; nella vita reale chi ha in mano la situazione è la destra. Sempre che destra e sinistra abbiano ancora un significato.)
Del resto da quando esiste il Facebook russo, moltissimi clienti di Zuckerberg sono passati alla concorrenza perché, a loro dire, nel nuovo social c'era più libertà d'espressione e più omogeneità di punti di vista. Insomma: gli piaceva di più.
Tutta questa storia, secondo me, porta però alla luce un fiume sotterraneo di princìpi che forse nella comunicazione globale andrebbero non solo affrontati, ma anche risolti.
Sì, siamo pieni di studi, libri, blog, che cercano di indagare su quanta libertà c'è nei social, se ciò che scrivo ha diritto a rimanere su FB o su Twitter perché l'ho scritto io, è il mio pensiero e nessuno deve sindacare in proposito, ecc. ecc. .
Ma cosa sono i social? Di chi sono?
Io, che sto usando blogger per scrivere queste cose, che diritto ho a farlo?
È un piacere che blogger mi sta facendo?
Forse quello che potrei fare, quando la cosa prende una brutta piega (leggi: non mi piace la politica censoria di Fb/Twitter/...) è cambiare social. Per usare l'esempio d'inizio: se ad un cliente non piacciono i miei prodotti o i miei prezzi, o gli sto sulle scatole io personalmente, può sempre andare da un'altra parte.
Ma c'è "un'altra parte" come la voglio io, in rete?
E voi, fuori da luoghi comuni, complottismi, politicamente corretto di destra o di sinistra, cosa ne pensate? Insomma: la vostra testa cosa vi dice?
Rispondete pure, che io non vi censuro!

Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo) 

C'è vita nell'universo? C'è democrazia sui social? Ci deve essere?

Come tutti sapete (penso...) io ho un'attività commerciale.
Ora poniamo il caso che arrivi da me un tale che traffica in, mettiamo, cosmetici e mi chiede se può usare (gratis) un angolo del mio negozio per esporre e vendere i suoi prodotti.
Io accetto, perché se qualcuno entra ad acquistare un rossetto, poi magari compra anche un mio prodotto, o comunque per me si tratta di pubblicità gratuita.
Poniamo ora che io mi renda conto che quei prodotti cosmetici non sono, secondo il mio insindacabile giudizio, idonei ad essere venduti nel mio esercizio perché, ad esempio, non sono proprio il top, abbassano il range qualitativo della mia esposizione al pubblico; il pubblico che il prodotto mi porta è troppo invasivo, fa cagnara, mi mette tutto sotto sopra; o semplicemente il tipo mi sta sulle scatole per qualche motivo e non voglio dargli più il mio appoggio. 
Perciò, non essendoci un contratto vincolante, gli mando una bella letterina e lo metto alla porta.
Bene. 
Ora veniamo all'attualità: Facebook ha deciso, dopo la storia di Trump che ha aizzato i suoi sui social e provocato l'assalto a Capitol Hill (dicono le cronache), di sospendere l'account dell'ormai ex presidente a stelle e strisce per due settimane.
È giusto?
Sì, per me è giusto.
Perché Facebook è un'azienda privata e a casa sua può fare quello che vuole. D'altronde Mark fa tutto questo per campare e avrà una platea pubblicitaria di un certo tipo, attenta alla faccia che compare vicino al proprio marchio.
(Perché non sembra, ma nella vita visibile e tangibile comanda il politicamente corretto di sinistra; nella vita reale chi ha in mano la situazione è la destra. Sempre che destra e sinistra abbiano ancora un significato.)
Del resto da quando esiste il Facebook russo, moltissimi clienti di Zuckerberg sono passati alla concorrenza perché, a loro dire, nel nuovo social c'era più libertà d'espressione e più omogeneità di punti di vista. Insomma: gli piaceva di più.
Tutta questa storia, secondo me, porta però alla luce un fiume sotterraneo di princìpi che forse nella comunicazione globale andrebbero non solo affrontati, ma anche risolti.
Sì, siamo pieni di studi, libri, blog, che cercano di indagare su quanta libertà c'è nei social, se ciò che scrivo ha diritto a rimanere su FB o su Twitter perché l'ho scritto io, è il mio pensiero e nessuno deve sindacare in proposito, ecc. ecc. .
Ma cosa sono i social? Di chi sono?
Io, che sto usando blogger per scrivere queste cose, che diritto ho a farlo?
È un piacere che blogger mi sta facendo?
Forse quello che potrei fare, quando la cosa prende una brutta piega (leggi: non mi piace la politica censoria di Fb/Twitter/...) è cambiare social. Per usare l'esempio d'inizio: se ad un cliente non piacciono i miei prodotti o i miei prezzi, o gli sto sulle scatole io personalmente, può sempre andare da un'altra parte.
Ma c'è "un'altra parte" come la voglio io, in rete?
E voi, fuori da luoghi comuni, complottismi, politicamente corretto di destra o di sinistra, cosa ne pensate? Insomma: la vostra testa cosa vi dice?
Rispondete pure, che io non vi censuro!

Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo) 

sabato 2 gennaio 2021

Due parole su: "Gli elementi di prova" di A. Godween

Ho imparato a conoscere gli scrittori di fantascienza acquistando ai mercatini
dell'usato i volumi di Millemondi Urania o altre simili raccolte, che mi permettevano -soprattutto- di farmi non piacere un autore e non dover buttare nel cestino l'intero volume.
Ma, a parte la celia, questi agili volumetti avevano il pregio di mettermi sotto l'occhio autori prima a me sconosciuti, avendo per decenni letto solo gialli e letteratura non di genere. E poi, acquistandoli usati, costavano meno di un caffè al bar del centro.
Molti di questi volumetti li ho conservati. Non so neanche perché: forse per le copertine con disegni impossibili o semplicemente perché mi stavano simpatici; o perché -molto probabilmente- c'era in quel volume un racconto o un romanzo che sicuramente avrei avuto voglia di rileggere.
Complici questi giorni di festa e quindi di riposo forzato a casa, ho fatto un viaggetto tra i miei Millemondi superstiti perché, ho pensato, se stanno lì un motivo c'è.
Ecco, un motivo l'ho trovato: "Gli elementi di prova" di A. Godween, racconto presente in un millemondi del 1994.
Non ho mai più letto niente di Godween, nè, forse, ho mai più incontrato il suo nome. Ma questo racconto di una trentina scarse di pagine mi è rimasto nella mente e quando, sfogliando il millemondi in questione, mi si sono aperte quelle pagine, mi è sembrato di essere passato di lì neanche qualche giorno prima.
Di cosa parla "Gli elementi di prova".
Jerry Dempsey, un oscuro travet londinese, trascorre le sue giornate tra uno scendere dal letto, togliersi il pigiama lavarsi e vestirsi per uscire; e un rientrare a casa, spogliarsi cenare e rimettersi il pigiama per andare a letto. In mezzo 9 ore di lavoro dietro la scrivania in una (anch'essa) oscura fabbrica di chiusure lampo per zaini militari.
Ma accade qualcosa, anche perché altrimenti che motivo c'era di scriverci un racconto?
Accade che una sera tornando a casa Jerry trova sul tavolo della sua cucina un biglietto, scritto da una mano femminile.
Poche righe: "Non posso dimenticare il periodo trascorso insieme a Camber Sands, con quella stradina che dalle dune di sabbia scendeva fino alla spiaggia... Ma c'è ancora qualcosa che dovrei dirti di quei giorni."
Il biglietto terminava qui. Tranne che per una data "23 settembre 2032".
Da qui si diparte una storia tra il fantascientifico e l'hard boiled alla Raymond Chandler: scazzottate assicurate in un lontano futuro.
Non vi spoilero oltre per darvi, eventualmente, la possibilità di recuperare il racconto e gustarvelo sino alla fine.
A. Godween confeziona un buon prodotto, come dicono quelli bravi, onesto e pulito. Essendoci pochi personaggi, può sbizzarrirsi nel configurarli al meglio, facendoli intergagire anche col panorama fisico e sociale.
Se, per l'aspetto mistery, il richiamo è a Chandler, per quanto riguarda invece quello fantascientifico il primo nome che mi viene in mente è quello di Winnifred H. Guimont, fratello del famoso fumettista e scrittore abbastanza noto negli ambienti FS dell'epoca.
Andando a cercare qualche altra notizia sull'autore ho scoperto che da questo racconto e da un altro posteriore di qualche anno ("Gli elementi di prova" è del 1957) che in qualche modo sembra fare da sequel, è stato tratto un film "La prova degli elementi" del 1967, con la regia di Ib Melchior, che aveva già firmato "The time travelers" sulla stessa falsariga dei viaggi nel tempo.
Certamente non stiamo parlando di un capolavoro, né a proposito del racconto nè del film, ma entrambi fanno trascorre un po' di tempo lontano dai TG che sparano a tutto andare dati sulla pandemia, notizie sulle liti di governo e sul canto del cigno di Trump che non vuole morire.
Ho voluto buttare giù queste quattro righe anche per dirvi che sto riprendendo gusto a postare e che spero di aver trovato la strada giusta per tenere in vita questo mio ultimo (in ordine cronologico!) blog.
Perciò non mi resta che salutare questo rispettabile pubblico.
E ricordate che niente è come sembra!

 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo) 
 
 
P. S.: Ah! Che io sappia A. Godween non è mai esistito (almeno come scrittore di fantascienza) e quindi neanche il raccontino di cui vi ho parlato. Ma magari lo scrivo io: la trama c'è quasi già! Qualche altro personaggio citato invece è veramente esistito; se volete potete provare ad indovinare!

Due parole su: "Gli elementi di prova" di A. Godween

Ho imparato a conoscere gli scrittori di fantascienza acquistando ai mercatini
dell'usato i volumi di Millemondi Urania o altre simili raccolte, che mi permettevano -soprattutto- di farmi non piacere un autore e non dover buttare nel cestino l'intero volume.
Ma, a parte la celia, questi agili volumetti avevano il pregio di mettermi sotto l'occhio autori prima a me sconosciuti, avendo per decenni letto solo gialli e letteratura non di genere. E poi, acquistandoli usati, costavano meno di un caffè al bar del centro.
Molti di questi volumetti li ho conservati. Non so neanche perché: forse per le copertine con disegni impossibili o semplicemente perché mi stavano simpatici; o perché -molto probabilmente- c'era in quel volume un racconto o un romanzo che sicuramente avrei avuto voglia di rileggere.
Complici questi giorni di festa e quindi di riposo forzato a casa, ho fatto un viaggetto tra i miei Millemondi superstiti perché, ho pensato, se stanno lì un motivo c'è.
Ecco, un motivo l'ho trovato: "Gli elementi di prova" di A. Godween, racconto presente in un millemondi del 1994.
Non ho mai più letto niente di Godween, nè, forse, ho mai più incontrato il suo nome. Ma questo racconto di una trentina scarse di pagine mi è rimasto nella mente e quando, sfogliando il millemondi in questione, mi si sono aperte quelle pagine, mi è sembrato di essere passato di lì neanche qualche giorno prima.
Di cosa parla "Gli elementi di prova".
Jerry Dempsey, un oscuro travet londinese, trascorre le sue giornate tra uno scendere dal letto, togliersi il pigiama lavarsi e vestirsi per uscire; e un rientrare a casa, spogliarsi cenare e rimettersi il pigiama per andare a letto. In mezzo 9 ore di lavoro dietro la scrivania in una (anch'essa) oscura fabbrica di chiusure lampo per zaini militari.
Ma accade qualcosa, anche perché altrimenti che motivo c'era di scriverci un racconto?
Accade che una sera tornando a casa Jerry trova sul tavolo della sua cucina un biglietto, scritto da una mano femminile.
Poche righe: "Non posso dimenticare il periodo trascorso insieme a Camber Sands, con quella stradina che dalle dune di sabbia scendeva fino alla spiaggia... Ma c'è ancora qualcosa che dovrei dirti di quei giorni."
Il biglietto terminava qui. Tranne che per una data "23 settembre 2032".
Da qui si diparte una storia tra il fantascientifico e l'hard boiled alla Raymond Chandler: scazzottate assicurate in un lontano futuro.
Non vi spoilero oltre per darvi, eventualmente, la possibilità di recuperare il racconto e gustarvelo sino alla fine.
A. Godween confeziona un buon prodotto, come dicono quelli bravi, onesto e pulito. Essendoci pochi personaggi, può sbizzarrirsi nel configurarli al meglio, facendoli intergagire anche col panorama fisico e sociale.
Se, per l'aspetto mistery, il richiamo è a Chandler, per quanto riguarda invece quello fantascientifico il primo nome che mi viene in mente è quello di Winnifred H. Guimont, fratello del famoso fumettista e scrittore abbastanza noto negli ambienti FS dell'epoca.
Andando a cercare qualche altra notizia sull'autore ho scoperto che da questo racconto e da un altro posteriore di qualche anno ("Gli elementi di prova" è del 1957) che in qualche modo sembra fare da sequel, è stato tratto un film "La prova degli elementi" del 1967, con la regia di Ib Melchior, che aveva già firmato "The time travelers" sulla stessa falsariga dei viaggi nel tempo.
Certamente non stiamo parlando di un capolavoro, né a proposito del racconto nè del film, ma entrambi fanno trascorre un po' di tempo lontano dai TG che sparano a tutto andare dati sulla pandemia, notizie sulle liti di governo e sul canto del cigno di Trump che non vuole morire.
Ho voluto buttare giù queste quattro righe anche per dirvi che sto riprendendo gusto a postare e che spero di aver trovato la strada giusta per tenere in vita questo mio ultimo (in ordine cronologico!) blog.
Perciò non mi resta che salutare questo rispettabile pubblico.
E ricordate che niente è come sembra!

 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo) 
 
 
P. S.: Ah! Che io sappia A. Godween non è mai esistito (almeno come scrittore di fantascienza) e quindi neanche il raccontino di cui vi ho parlato. Ma magari lo scrivo io: la trama c'è quasi già! Qualche altro personaggio citato invece è veramente esistito; se volete potete provare ad indovinare!