venerdì 26 febbraio 2021

"Di chi è" il "bambino"? Manco fosse una fetta di torta..

È bello quando apri il giornale e trovi una notizia che conferma una cosa che
Che confusione...

pensavi da tempo, che tutti ti hanno contestato e che tutti hanno usato per salire anche loro sul piedistallo del vincitore del premio del più politicamente corretto.
La notizia è questa: un tribunale ha stabilito che gli embrioni conservati di una coppia che nel frattempo si è separata possono essere impiantati nella donna anche contro la volontà dell'ex partner.
Io traggo due semplici conseguenze, frutto della pratica delle cose:
 
1. il bambino (perché un embrione fecondato è un essere umano) diventa ufficialmente -lo dice la legge- un oggetto, una cosa, come una chiave del 12 o un tagliapizza;
2. il maschio diventa un semplice stallone, un toro da monta che, una volta fatto il suo dovere non ha più voce in capitolo su tutto ciò che segue.
 
1. Il bambino
Con la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) è possibile far fecondare un ovulo nei casi in cui ciò non sia possibile in modo naturale. Una volta effettuato il trattamento, la scienza ha trovato il modo di congelare l'embrione per un impianto successivo. Ciò significa che se la coppia decidesse di rinviare, per motivi di salute o altro, l'impianto dell'ovulo fecondato con l'inizio del processo che porti alla luce il bambino (si dice infatti che il bambino "viene alla luce", perché in effetti è già nato al momento della fecondazione), ciò sarebbe possibile.
In questo caso, però, la coppia si è separata e l'uomo, donatore del seme, non acconsente all'impianto dell'ovulo e quindi alla venuta al mondo del bambino.
La donna invece lo vuole e il giudice le da' ragione.
Qui scattano due discorsi. 
Anzitutto l'aver congelato l'ovulo ha creato una situazione per cui abbiamo un bambino sospeso nel nulla, un oggetto che sta lì, in attesa che qualcuno si ricordi di lui.
Secondariamente: il bambino potrebbe anche non venire mai alla luce e rimanere per un tempo indeterminato in crioconservazione fino a che... boh! non sono un medico e quindi non posso dire niente.

2. L'uomo
L'uomo diviene, con questa sentenza, un semplice donatore di seme, come quegli stalloni o tori da monta che servono solo per la riproduzione.
Infatti anche in questo caso (come nel caso della possibilità di abortire da parte della donna) non ha voce in capitolo.
Ora di certo non sarei stato contento se l'uomo avesse potuto decidere di uccidere il feto non facendolo impiantare.
Ma comunque, vedendo la cosa da ogni angolazione, il suo compito resta sempre quello di donare il seme (che differenza trovate a questo punto tra chi lo fa per soldi e questa situazione?).
È infatti la donna a decidere cosa fare. Per cui se fosse stato l'uomo a voler impiantare l'ovulo (in un altro utero) la donna poteva in questo caso opporsi e il bambino non sarebbe mai nato.

Domande finali.
Si dice che la legge cristallizzi ciò che la società produce, nei limiti di determinati paletti messi da qualcuno.
Mi chiedo: il bambino è ancora frutto dell'amore tra un uomo e una donna?
Che differenza trovate tra due ex coniugi che litigano sull'affidamento del cane/gatto e due ex coniugi che litigano (tanto da arrivare davanti ad un giudice) sul far nascere o meno un figlio che avevano prima voluto (si presume...)?
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
 

 
  
 

 

"Di chi è" il "bambino"? Manco fosse una fetta di torta..

È bello quando apri il giornale e trovi una notizia che conferma una cosa che
Che confusione...

pensavi da tempo, che tutti ti hanno contestato e che tutti hanno usato per salire anche loro sul piedistallo del vincitore del premio del più politicamente corretto.
La notizia è questa: un tribunale ha stabilito che gli embrioni conservati di una coppia che nel frattempo si è separata possono essere impiantati nella donna anche contro la volontà dell'ex partner.
Io traggo due semplici conseguenze, frutto della pratica delle cose:
 
1. il bambino (perché un embrione fecondato è un essere umano) diventa ufficialmente -lo dice la legge- un oggetto, una cosa, come una chiave del 12 o un tagliapizza;
2. il maschio diventa un semplice stallone, un toro da monta che, una volta fatto il suo dovere non ha più voce in capitolo su tutto ciò che segue.
 
1. Il bambino
Con la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) è possibile far fecondare un ovulo nei casi in cui ciò non sia possibile in modo naturale. Una volta effettuato il trattamento, la scienza ha trovato il modo di congelare l'embrione per un impianto successivo. Ciò significa che se la coppia decidesse di rinviare, per motivi di salute o altro, l'impianto dell'ovulo fecondato con l'inizio del processo che porti alla luce il bambino (si dice infatti che il bambino "viene alla luce", perché in effetti è già nato al momento della fecondazione), ciò sarebbe possibile.
In questo caso, però, la coppia si è separata e l'uomo, donatore del seme, non acconsente all'impianto dell'ovulo e quindi alla venuta al mondo del bambino.
La donna invece lo vuole e il giudice le da' ragione.
Qui scattano due discorsi. 
Anzitutto l'aver congelato l'ovulo ha creato una situazione per cui abbiamo un bambino sospeso nel nulla, un oggetto che sta lì, in attesa che qualcuno si ricordi di lui.
Secondariamente: il bambino potrebbe anche non venire mai alla luce e rimanere per un tempo indeterminato in crioconservazione fino a che... boh! non sono un medico e quindi non posso dire niente.

2. L'uomo
L'uomo diviene, con questa sentenza, un semplice donatore di seme, come quegli stalloni o tori da monta che servono solo per la riproduzione.
Infatti anche in questo caso (come nel caso della possibilità di abortire da parte della donna) non ha voce in capitolo.
Ora di certo non sarei stato contento se l'uomo avesse potuto decidere di uccidere il feto non facendolo impiantare.
Ma comunque, vedendo la cosa da ogni angolazione, il suo compito resta sempre quello di donare il seme (che differenza trovate a questo punto tra chi lo fa per soldi e questa situazione?).
È infatti la donna a decidere cosa fare. Per cui se fosse stato l'uomo a voler impiantare l'ovulo (in un altro utero) la donna poteva in questo caso opporsi e il bambino non sarebbe mai nato.

Domande finali.
Si dice che la legge cristallizzi ciò che la società produce, nei limiti di determinati paletti messi da qualcuno.
Mi chiedo: il bambino è ancora frutto dell'amore tra un uomo e una donna?
Che differenza trovate tra due ex coniugi che litigano sull'affidamento del cane/gatto e due ex coniugi che litigano (tanto da arrivare davanti ad un giudice) sul far nascere o meno un figlio che avevano prima voluto (si presume...)?
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
 

 
  
 

 

giovedì 25 febbraio 2021

"Il Poster", nell'altra stanza...

Breve richiamo, in attesa del nuovo post (forse domani...) qui dallo Starlight Casinò, per ricordarvi che sull'altro mio blog è appena stata pubblicata la prima parte de Il Poster, un racconto di circa 3000 parole.
Io non sono Isaac Asmov (in tutti i isensi, compresi quelli letterari!) e non tengo un maniacale diario di ogni cosa che scrivo, quindi posso solo dirvi, a riguardo di questo raxcconto, che è molto vecchio, probabilmente risale a circa 40 anni fa, nella sua prima stesura.
Ricordo che la prima traccia erano poche paginette di quaderno, diventate 2 pagine di foglio word.
Poi una 20ina di anni fa ripresi il racconto e mi resi conto che nel frattempo avevo scritto altro che aveva qualche aggancio con una mia idea di mondo futuro, in cui la realtà sociale era mutata (in peggio, naturalmente... ).
Così pensai di inserire Il Poster in questo mondo letterariamente già esistente... Il risultato lo potete leggere di là, nell'altra stanza.
E se andrò avanti con l'iniziativa di pubblicare le mie cose su Giù dal palco, magari ci sarà la possibilità di rileggerle, anche per me.
Ors, se ne avete tempo e voglia, vi invito a fare un salto dal'altra parte.
In attesa di sapre qualcosa da voi, vi saluto.
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
   

"Il Poster", nell'altra stanza...

Breve richiamo, in attesa del nuovo post (forse domani...) qui dallo Starlight Casinò, per ricordarvi che sull'altro mio blog è appena stata pubblicata la prima parte de Il Poster, un racconto di circa 3000 parole.
Io non sono Isaac Asmov (in tutti i isensi, compresi quelli letterari!) e non tengo un maniacale diario di ogni cosa che scrivo, quindi posso solo dirvi, a riguardo di questo raxcconto, che è molto vecchio, probabilmente risale a circa 40 anni fa, nella sua prima stesura.
Ricordo che la prima traccia erano poche paginette di quaderno, diventate 2 pagine di foglio word.
Poi una 20ina di anni fa ripresi il racconto e mi resi conto che nel frattempo avevo scritto altro che aveva qualche aggancio con una mia idea di mondo futuro, in cui la realtà sociale era mutata (in peggio, naturalmente... ).
Così pensai di inserire Il Poster in questo mondo letterariamente già esistente... Il risultato lo potete leggere di là, nell'altra stanza.
E se andrò avanti con l'iniziativa di pubblicare le mie cose su Giù dal palco, magari ci sarà la possibilità di rileggerle, anche per me.
Ors, se ne avete tempo e voglia, vi invito a fare un salto dal'altra parte.
In attesa di sapre qualcosa da voi, vi saluto.
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)
   

lunedì 22 febbraio 2021

Passione e conoscenza: per crescere da uomini

Che fine hanno fatto i gilet gialli?
E i gilet arancioni?
E le sardine?
Che fine hanno fatto i giovani d'oggi? I millenial?
Siamo la società dello spritz e della pizza, della piadina al volo e del cinese.
La maggiore preoccupazione tra i nostri giovani per questa pandemia è che bar e ristoranti sono chiusi e non possono socializzare. Qualunque cosa voglia dire socializzare
Non ho sinceramente ancora sentito un ventenne lamentarsi della chiusura di cinema, teatri, musei.
Per la carità: ce ne saranno certamente!
Ma la percezione, da uomo della strada, è quella: abbiamo messo al mondo giovani che non hanno passioni.
Certo la colpa è sicuramente anche di noi che le passioni non abbiamo saputo trasmettergliele.
Ecco: la trasmissione.
Spesso mi chiedo: se la tecnologia ha messo in mano all'uomo una quantità (non sempre una qualità) di informazioni enorme, spropositato, a volte pericoloso, come mai la società odierna va precipitosamente verso il baratro dell'ignoranza crassa invece che verso una stagione di progresso condiviso?
Per essere pratici: perché in prima serata spopolano Barbara D'Urso e Maria De Filippi e non l'edizione di un'opera teatrale? O un documentario sulla vita dei popoli andini e/o sulle scoperte archeologiche (fatta salva la presenza della famiglia Angela; ma anche lì non ci sarebbe partita se messe a confronto le due proposte televisive in contemporanea).
In parola spiccie: perché più abbiamo tutto sotto mano e meno cresciamo culturalmente?
Io la penso così, ditemi se siete d'accordo:
- avere conoscenza di qualcosa (in ogni campo e a qualsiasi livello) richiede che poi la persona si impegni a trarne delle conseguenze.
Se conosco la carta dei diritti dell'uomo, devo poi mettere in pratica quei 30 articoletti.
Se conosco il codice della strada, lo devo rispettare.
Se so che una donna (un bambino, un disabile, un anziano), è un essere umano come me, devo trarne le conseguenze nelle mie azioni quotidiane: non posso fare il bullo.
Se so che c'è vita anche in un 'grumo di cellule' appena concepito, devo...
Eccetera eccetera.
- conoscere è (anche) avere responsabilità.
Ma se tutte queste cose le lascio fuori dalla porta della mia mente volontariamente, posso fare quel che mi pare, non mi sento responsabile delle mie azioni.
- conoscere richiedere poi il tempo della riflessione: approfondire, applicare, capirne i meccanismi e le motivazioni.
La storia dell'uomo è un continuum di scoperte, deduzioni, approfondimenti. E noi godiamo i frutti di questo processo.
Ma se ci fermiamo alla sola conclusione finale, siamo macchine che applicano processi già fatti da qualcun altro.
Ci manca, in questo caso, la possibilità di capire il perché di una cosa; e quindi anche la possibilità di criticarla, di modificarla, di renderla migliore.
 

 
Abbiamo così eliminato la differenza tra l'uomo, che è capace di andare al di là del proprio territorio, e un animale che invece si ferma a ciò che trova nelle vicinanze e che si affida al suo solo istinto.
Tanto per fare un esempio: a nessun cane verrebbe mai in mente di andare su Marte per cercare segni di vita e la possibilità di viverci per l'uomo. Poi possiamo essere d'accordo o meno sul fatto che abbiamo così tante cose da risolvere sulla terra che questi viaggi sono una perdita di tempo, danaro e risorse umane. Ma anche per fare un ragionamento del genere abbiamo bisogno di elevarci dallo stato animale.
Mi chiederete, giustamente, cosa c'entra il discorso sulla passione con cui ho iniziato il post, con la volontà di conoscere con cui sto concludendo.
Per me c'è attinenza, perché avere una passione significa proprio interessarsi a qualcosa che sappiamo può darci dei benefici (a qualsiasi livello). E se ci interessiamo vuol dire che abbiamo conosciuto.
 
I gilet gialli o arancioni, le sardine, sono stati spazzati via dalla pandemia.
La figura di Antigone, invece, resta sempre viva, ci si può abbeverare a ciò che lei rappresenta in ogni istante.

Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

 
 


Passione e conoscenza: per crescere da uomini

Che fine hanno fatto i gilet gialli?
E i gilet arancioni?
E le sardine?
Che fine hanno fatto i giovani d'oggi? I millenial?
Siamo la società dello spritz e della pizza, della piadina al volo e del cinese.
La maggiore preoccupazione tra i nostri giovani per questa pandemia è che bar e ristoranti sono chiusi e non possono socializzare. Qualunque cosa voglia dire socializzare
Non ho sinceramente ancora sentito un ventenne lamentarsi della chiusura di cinema, teatri, musei.
Per la carità: ce ne saranno certamente!
Ma la percezione, da uomo della strada, è quella: abbiamo messo al mondo giovani che non hanno passioni.
Certo la colpa è sicuramente anche di noi che le passioni non abbiamo saputo trasmettergliele.
Ecco: la trasmissione.
Spesso mi chiedo: se la tecnologia ha messo in mano all'uomo una quantità (non sempre una qualità) di informazioni enorme, spropositato, a volte pericoloso, come mai la società odierna va precipitosamente verso il baratro dell'ignoranza crassa invece che verso una stagione di progresso condiviso?
Per essere pratici: perché in prima serata spopolano Barbara D'Urso e Maria De Filippi e non l'edizione di un'opera teatrale? O un documentario sulla vita dei popoli andini e/o sulle scoperte archeologiche (fatta salva la presenza della famiglia Angela; ma anche lì non ci sarebbe partita se messe a confronto le due proposte televisive in contemporanea).
In parola spiccie: perché più abbiamo tutto sotto mano e meno cresciamo culturalmente?
Io la penso così, ditemi se siete d'accordo:
- avere conoscenza di qualcosa (in ogni campo e a qualsiasi livello) richiede che poi la persona si impegni a trarne delle conseguenze.
Se conosco la carta dei diritti dell'uomo, devo poi mettere in pratica quei 30 articoletti.
Se conosco il codice della strada, lo devo rispettare.
Se so che una donna (un bambino, un disabile, un anziano), è un essere umano come me, devo trarne le conseguenze nelle mie azioni quotidiane: non posso fare il bullo.
Se so che c'è vita anche in un 'grumo di cellule' appena concepito, devo...
Eccetera eccetera.
- conoscere è (anche) avere responsabilità.
Ma se tutte queste cose le lascio fuori dalla porta della mia mente volontariamente, posso fare quel che mi pare, non mi sento responsabile delle mie azioni.
- conoscere richiedere poi il tempo della riflessione: approfondire, applicare, capirne i meccanismi e le motivazioni.
La storia dell'uomo è un continuum di scoperte, deduzioni, approfondimenti. E noi godiamo i frutti di questo processo.
Ma se ci fermiamo alla sola conclusione finale, siamo macchine che applicano processi già fatti da qualcun altro.
Ci manca, in questo caso, la possibilità di capire il perché di una cosa; e quindi anche la possibilità di criticarla, di modificarla, di renderla migliore.
 

 
Abbiamo così eliminato la differenza tra l'uomo, che è capace di andare al di là del proprio territorio, e un animale che invece si ferma a ciò che trova nelle vicinanze e che si affida al suo solo istinto.
Tanto per fare un esempio: a nessun cane verrebbe mai in mente di andare su Marte per cercare segni di vita e la possibilità di viverci per l'uomo. Poi possiamo essere d'accordo o meno sul fatto che abbiamo così tante cose da risolvere sulla terra che questi viaggi sono una perdita di tempo, danaro e risorse umane. Ma anche per fare un ragionamento del genere abbiamo bisogno di elevarci dallo stato animale.
Mi chiederete, giustamente, cosa c'entra il discorso sulla passione con cui ho iniziato il post, con la volontà di conoscere con cui sto concludendo.
Per me c'è attinenza, perché avere una passione significa proprio interessarsi a qualcosa che sappiamo può darci dei benefici (a qualsiasi livello). E se ci interessiamo vuol dire che abbiamo conosciuto.
 
I gilet gialli o arancioni, le sardine, sono stati spazzati via dalla pandemia.
La figura di Antigone, invece, resta sempre viva, ci si può abbeverare a ciò che lei rappresenta in ogni istante.

Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

 
 


martedì 16 febbraio 2021

Social e cultura: una lotta per la sopravvivenza

Un post non previsto e, come sempre, non richiesto.
Parto da una frase di Thoureau che dice più o meno così (vado a memoria): Abbiamo una grande fretta di costruire un telegrafo magnetico dal Maine al Texas ma può darsi che il Maine e il Texas non abbiano nulla di importante da comunicarsi.
Frase bella, efficace, simpatica, che si ricorda facilmente.
Perché ve la cito? 
Perché mi ha fatto venire in testa un'osservazione che riguarda il nostro modo di vivere la comunicazione e i suoi mezzi. E non solo questo.
Sapete certamente che, pur utilizzando i social media, questi sono oggetto di un profondo rigetto da parte mia. Ogni volta che apro Twitter, o Facebook o qualcosa d'altro e leggo certe cose, mi viene da andare su Impostazioni e cancellarmi l'account. Poi mi ricordo che il social è solo un mezzo e allora acquieto la mia sete di autodistruzione.
Ecco, il problema è che se non c'è niente da comunicarsi tra il Texas e il Maine, che lo costruiamo a fare un telegrafo magnetico che li colleghi?
Cioé: se non abbiamo niente da dire di costruttivo, fosse pure un saluto, che apriamo a fare tutti i giorni Facebook e Twitter e l'ammorbiamo coi nostri vomiti solo perché ci siamo alzati con la luna storta?
O se abbiamo un cervello in miniatura unito ad un ego smisurato, perché riempiamo d'insulti il primo che ci capita a tiro di post o di twitt?
Qualche settimana fa scrissi un post in cui dicevo che i social non devono andare in mano a tutti, men che meno a dei bambini.
Ma non è che gli adulti (almeno anagraficamente) siano da meno!
Tempo fa leggevo su un blog che seguo (ma che non trovate sul mio blogroll), un post abbastanza 'neutro', cioè su un argomento comune e non molto impegnato. Poi ho dato un occhiata ai commenti e mi sono reso conto che dopo una decina di risposte, 3-4 commentatori hanno inziato a darsi del deficiente, stronzo, malato di mente e chi più ne ha più ne metta. Così, senza un motivo legato al post di partenza.
Perciò mi chiedo: è democrazia liberalizzare l'uso dei social?
Ho scritto già su questo argomento, quindi vi rimando al mio vecchio post.
Il Rinascimento, di cui sto diventando un cultore nostalgico, ci ha insegnato che la cultura non è per tutti.
Bertrand Russell afferma che il Rinascimento, che segna la nascita della mentalità moderna, non fu un movimento popolare; fu un movimento d'un piccolo numero di studiosi e di artisti, incoraggiati da protettori liberali, specie i Medici e i papi umanisti.(1)
Oggi abbiamo la scuola che, grazie a Dio, permette di trasmettere i saperi che l'uomo nella storia ha raggiunto. Chiunque, quindi può avvicinarsi alla cultura e farla propria.
 
Ma siamo sicuri che il 6 politico (o il 18) siano stati un'ottima soluzione per rendere democratica la scuola e la società? Quanto danni, culturali e materiali, ha provocato questa prassi mortifera?
Livellare, al ribasso, la cultura ha come unico risultato la sua morte. 
 
La cultura infatti deve per sua natura crescere, espandersi, riversarsi su tutto ciò che tocca, perché è l'insieme dei saperi che su quell'argomento l'uomo ha raggiunto. E la scuola è il luogo dove questi saperi vengono condivisi.
Se un contadino conosce tutto ciò che lo scibile umano ha scoperto su come usare gli attrezzi dell'orto, è allo stesso livello culturale di un astronomo che scruta le stelle e le conosce una ad una attraverso i mezzi che la scienza gli da'. Non tutti possono diventare astronomi, così come non tutti possono diventare contadini.
Questa è cultura.
Purtroppo non esiste la selezione naturale sui social. O meglio: esiste ma al contrario. Per cui proliferano i dementi.
O forse esiste proprio come l'hanno pensata?
Perché è la società ad essere degenerata e quindi proliferano i degenerati...
Insomma è il cane che si morde la coda.
E io sto cominciando a farmi venire il mal di testa...
Per ora, perciò, può bastare così.
Alla prossima.

(N.B.: tutto ciò che avete letto finora è totalmente criticabile, se volete. Perciò fatelo pure, ma senza riempirmi di epiteti. Che quelli li conosco già.)

(1) Russell B., Storia della filosofia occidentale, Milano, 2019, pg. 486


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

Social e cultura: una lotta per la sopravvivenza

Un post non previsto e, come sempre, non richiesto.
Parto da una frase di Thoureau che dice più o meno così (vado a memoria): Abbiamo una grande fretta di costruire un telegrafo magnetico dal Maine al Texas ma può darsi che il Maine e il Texas non abbiano nulla di importante da comunicarsi.
Frase bella, efficace, simpatica, che si ricorda facilmente.
Perché ve la cito? 
Perché mi ha fatto venire in testa un'osservazione che riguarda il nostro modo di vivere la comunicazione e i suoi mezzi. E non solo questo.
Sapete certamente che, pur utilizzando i social media, questi sono oggetto di un profondo rigetto da parte mia. Ogni volta che apro Twitter, o Facebook o qualcosa d'altro e leggo certe cose, mi viene da andare su Impostazioni e cancellarmi l'account. Poi mi ricordo che il social è solo un mezzo e allora acquieto la mia sete di autodistruzione.
Ecco, il problema è che se non c'è niente da comunicarsi tra il Texas e il Maine, che lo costruiamo a fare un telegrafo magnetico che li colleghi?
Cioé: se non abbiamo niente da dire di costruttivo, fosse pure un saluto, che apriamo a fare tutti i giorni Facebook e Twitter e l'ammorbiamo coi nostri vomiti solo perché ci siamo alzati con la luna storta?
O se abbiamo un cervello in miniatura unito ad un ego smisurato, perché riempiamo d'insulti il primo che ci capita a tiro di post o di twitt?
Qualche settimana fa scrissi un post in cui dicevo che i social non devono andare in mano a tutti, men che meno a dei bambini.
Ma non è che gli adulti (almeno anagraficamente) siano da meno!
Tempo fa leggevo su un blog che seguo (ma che non trovate sul mio blogroll), un post abbastanza 'neutro', cioè su un argomento comune e non molto impegnato. Poi ho dato un occhiata ai commenti e mi sono reso conto che dopo una decina di risposte, 3-4 commentatori hanno inziato a darsi del deficiente, stronzo, malato di mente e chi più ne ha più ne metta. Così, senza un motivo legato al post di partenza.
Perciò mi chiedo: è democrazia liberalizzare l'uso dei social?
Ho scritto già su questo argomento, quindi vi rimando al mio vecchio post.
Il Rinascimento, di cui sto diventando un cultore nostalgico, ci ha insegnato che la cultura non è per tutti.
Bertrand Russell afferma che il Rinascimento, che segna la nascita della mentalità moderna, non fu un movimento popolare; fu un movimento d'un piccolo numero di studiosi e di artisti, incoraggiati da protettori liberali, specie i Medici e i papi umanisti.(1)
Oggi abbiamo la scuola che, grazie a Dio, permette di trasmettere i saperi che l'uomo nella storia ha raggiunto. Chiunque, quindi può avvicinarsi alla cultura e farla propria.
 
Ma siamo sicuri che il 6 politico (o il 18) siano stati un'ottima soluzione per rendere democratica la scuola e la società? Quanto danni, culturali e materiali, ha provocato questa prassi mortifera?
Livellare, al ribasso, la cultura ha come unico risultato la sua morte. 
 
La cultura infatti deve per sua natura crescere, espandersi, riversarsi su tutto ciò che tocca, perché è l'insieme dei saperi che su quell'argomento l'uomo ha raggiunto. E la scuola è il luogo dove questi saperi vengono condivisi.
Se un contadino conosce tutto ciò che lo scibile umano ha scoperto su come usare gli attrezzi dell'orto, è allo stesso livello culturale di un astronomo che scruta le stelle e le conosce una ad una attraverso i mezzi che la scienza gli da'. Non tutti possono diventare astronomi, così come non tutti possono diventare contadini.
Questa è cultura.
Purtroppo non esiste la selezione naturale sui social. O meglio: esiste ma al contrario. Per cui proliferano i dementi.
O forse esiste proprio come l'hanno pensata?
Perché è la società ad essere degenerata e quindi proliferano i degenerati...
Insomma è il cane che si morde la coda.
E io sto cominciando a farmi venire il mal di testa...
Per ora, perciò, può bastare così.
Alla prossima.

(N.B.: tutto ciò che avete letto finora è totalmente criticabile, se volete. Perciò fatelo pure, ma senza riempirmi di epiteti. Che quelli li conosco già.)

(1) Russell B., Storia della filosofia occidentale, Milano, 2019, pg. 486


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

sabato 6 febbraio 2021

Mi ricordo! Sì, ma cosa? E Come? Tra storia e memoria, per riflettere.

Ricordiamo tutti il film di Benigni La vita è bella.
E ricordiamo di come alla fine arrivano gli americani e liberano tutti quelli che erano nel campo di concentramento. E rimarrà per sempre il ricordo di questi soldati a stelle e strisce che entrano trionfalmente ad Auschwitz (e negli altri campi) a porre simbolicamente fine al Terzo Reich e al nazismo. Questa è la memoria.
Poi c'è la storia. Che dice che furono i russi ad entrare ad Auschwitz e a liberare quegli uomini.
Ma i russi erano i cattivi, i comunisti nemici degli americani e dei loro alleati.
Così la memoria ha semplicemente cambiato la storia.
Un altro esempio.
Mio padre mi raccontava di come durante la seconda guerra mondiale la sua famiglia si era rifugiata in campagna e di come una volta fu costretto a buttarsi in un gallinaio perché da un aereo tedesco sparavano raffiche di mitra che lo sfioravano; questa è storia.
Ma quando mi raccontava che quei colpi venivano dai tedeschi che stavano dando l'ultimo colpo di coda dopo la caduta del fascismo, mio zio, fascista fino alle midolla, diceva che quelle raffiche di mitra servivano ai leggittimi occupanti nazisti per cercare di stanare i partigiani e gli americani sbarcati in Sicilia.
E così ecco che ancora una volta la memoria ha letto la storia a proprio uso e consumo.
Questo per dire che non può esistere una memoria condivisa, perché la memoria è come gli uomini vedono le cose, da quale punto di vista e perché.
Il nostro tempo è il tempo che vuole (vorrebbe) recuperare la memoria delle cose, del passato, ma spesso non si rende conto che non sta ricordando ciò che è successo per evitare gli errori commessi (come dovrebbe essere ogni racconto storico), ma sta dando un giudizio sulla storia.
È normale che se dico che il nazismo, il fascismo, il comunismo sono state (e ancora in qualche parte del mondo lo sono) dittature feroci e crudeli dico una cosa vera; ma rimane pur sempre un giudizio, dato col senno di poi.
Penso che tutti abbiamo ascoltato racconti di uomini qualunque, della strada, che raccontano di come il fascismo era bello, di come tutto funzionasse alla perfezione. Chi non conosce la frase: quando c'era LVI i treni arrivavano in orario!
Per rimanere in tema di ricordi, mio nonno (di cui io porto il nome) fu mandato al confino per 5 anni in una zona insalubre della Calabria perché pur essendo un dirigente locale delle FFSS non volle iscriversi al fascismo.
Al ritorno dal confino si sposò, ebbe dei figli, mantenne il posto e... senza nessuna sollecitazione (o punizione) ulteriore dopo qualche anno divenne addirittura ronda notturna fascista.
Allora mi chiedo: come dovrei narrare io questa storia? Dovrei fare memoria del nonno che va al confino pur di non aderire al fascismo o ricordare il nonno che faceva le ronde notturne?
Dobbiamo stare molto attenti a quando, in nome di un politicamente corretto, etichettiamo cose e persone con il senno del nostro tempo.
Ancora una volta: dobbiamo distinguere la memoria dalla storia, perché altrimenti ci costruiremo (e lasceremo ai posteri) una storia che non c'è, una realtà mai veramente esistita.
E una società che si costruisce su queste basi non ha radici.
 
Ogni volta che celebriamo (o si decide di fare) una giornata della memoria per ... -mettete un po' voi, ricordiamo che non stiamo rendendo un servizio alla storia ma stiamo dando un giudizio su di essa; da qualunque parte la prendiamo.
Anche questo post, si inserisce sempre in quel progetto che vado pian piano costruendo sul senso di un nuovo rinascimento.
 
N.B.: con questo post non voglio assolutamente sposare le tesi di negazionisti o nazifascisti. Metto solo un po' di carne al fuoco per discutere.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

Mi ricordo! Sì, ma cosa? E Come? Tra storia e memoria, per riflettere.

Ricordiamo tutti il film di Benigni La vita è bella.
E ricordiamo di come alla fine arrivano gli americani e liberano tutti quelli che erano nel campo di concentramento. E rimarrà per sempre il ricordo di questi soldati a stelle e strisce che entrano trionfalmente ad Auschwitz (e negli altri campi) a porre simbolicamente fine al Terzo Reich e al nazismo. Questa è la memoria.
Poi c'è la storia. Che dice che furono i russi ad entrare ad Auschwitz e a liberare quegli uomini.
Ma i russi erano i cattivi, i comunisti nemici degli americani e dei loro alleati.
Così la memoria ha semplicemente cambiato la storia.
Un altro esempio.
Mio padre mi raccontava di come durante la seconda guerra mondiale la sua famiglia si era rifugiata in campagna e di come una volta fu costretto a buttarsi in un gallinaio perché da un aereo tedesco sparavano raffiche di mitra che lo sfioravano; questa è storia.
Ma quando mi raccontava che quei colpi venivano dai tedeschi che stavano dando l'ultimo colpo di coda dopo la caduta del fascismo, mio zio, fascista fino alle midolla, diceva che quelle raffiche di mitra servivano ai leggittimi occupanti nazisti per cercare di stanare i partigiani e gli americani sbarcati in Sicilia.
E così ecco che ancora una volta la memoria ha letto la storia a proprio uso e consumo.
Questo per dire che non può esistere una memoria condivisa, perché la memoria è come gli uomini vedono le cose, da quale punto di vista e perché.
Il nostro tempo è il tempo che vuole (vorrebbe) recuperare la memoria delle cose, del passato, ma spesso non si rende conto che non sta ricordando ciò che è successo per evitare gli errori commessi (come dovrebbe essere ogni racconto storico), ma sta dando un giudizio sulla storia.
È normale che se dico che il nazismo, il fascismo, il comunismo sono state (e ancora in qualche parte del mondo lo sono) dittature feroci e crudeli dico una cosa vera; ma rimane pur sempre un giudizio, dato col senno di poi.
Penso che tutti abbiamo ascoltato racconti di uomini qualunque, della strada, che raccontano di come il fascismo era bello, di come tutto funzionasse alla perfezione. Chi non conosce la frase: quando c'era LVI i treni arrivavano in orario!
Per rimanere in tema di ricordi, mio nonno (di cui io porto il nome) fu mandato al confino per 5 anni in una zona insalubre della Calabria perché pur essendo un dirigente locale delle FFSS non volle iscriversi al fascismo.
Al ritorno dal confino si sposò, ebbe dei figli, mantenne il posto e... senza nessuna sollecitazione (o punizione) ulteriore dopo qualche anno divenne addirittura ronda notturna fascista.
Allora mi chiedo: come dovrei narrare io questa storia? Dovrei fare memoria del nonno che va al confino pur di non aderire al fascismo o ricordare il nonno che faceva le ronde notturne?
Dobbiamo stare molto attenti a quando, in nome di un politicamente corretto, etichettiamo cose e persone con il senno del nostro tempo.
Ancora una volta: dobbiamo distinguere la memoria dalla storia, perché altrimenti ci costruiremo (e lasceremo ai posteri) una storia che non c'è, una realtà mai veramente esistita.
E una società che si costruisce su queste basi non ha radici.
 
Ogni volta che celebriamo (o si decide di fare) una giornata della memoria per ... -mettete un po' voi, ricordiamo che non stiamo rendendo un servizio alla storia ma stiamo dando un giudizio su di essa; da qualunque parte la prendiamo.
Anche questo post, si inserisce sempre in quel progetto che vado pian piano costruendo sul senso di un nuovo rinascimento.
 
N.B.: con questo post non voglio assolutamente sposare le tesi di negazionisti o nazifascisti. Metto solo un po' di carne al fuoco per discutere.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

giovedì 4 febbraio 2021

3, 2,1... (ri)partenza! Del covid e delle cose della vita.

"Veduta di città ideale" attribuita a Leon Battista Alberti, 1480-1490
Il Covid19, di cui siamo ancora in piena pandemia, ha rappresentato uno
spartiacque.
I libri di storia parleranno di un prima covid e dopo covid, perché la sua funesta presenza in mezzo a noi ha modificato spesso radicalmente le nostre abitudini di vita.
Chissà ancora per quanto tempo non riusciremo, ad esempio, ad abbracciare i nostri cari senza avere un fremito di paura; o faremo spazio sul marciapiede a chi ci viene incontro.
E tutti ci siamo chiesti come sarà il dopo.
Ricorderete sicuramente l'#andràtuttobene con cui riempivamo le nostre finestre o i nostri post sui social.
Eppure da questi primi momenti in cui stiamo ragionando già (purtroppo!) come chi è fuori dal dramma, ci siamo resi conto che tutto non può tornare come prima.
Ma forse è anche meglio che tutto non torni come prima. 
Prima del covid19 i nostri pensieri erano rivolti ad altri problemi: i cambiamenti climatici, la povertà (assoluta: di miliardi di persone del terzo e quarto mondo; relativa: nelle nostre società opulente), le migrazioni causate da guerre e miseria, la pace...
E tutto era fermo ad analisi della situazione, a proteste più o meno veementi, a show estemporanei di personaggi forse in cerca di un momento di notorietà. Ma niente, proprio niente, si è mosso in una qualunque direzione possibile.
Insomma lo status quo ha regnato finora sovrano.
Ora la pandemia non ha di certo risolto quei problemi, ma li ha semplicemente fatti mettere mediaticamente da parte in attesa di ridarceli più drammatici ed essenziali di prima.
Io sono solo Tim, il guiscardo, un uomo della strada con una vita social (una 30ina di contatti su twitter e altrettanti su facebook; ma con una risposta che rasenta lo zero) da fare invidia, forse!, solo allo scarafaggio di Franz Kafka, ma nonostante tutto ho un mio pensiero, una mia idea.
E la mia idea è questa; non sarà originale ma prendetela per quel che è.
Abbiamo bisogno di una nuova epoca di rinascita.
Non possiamo continuare ad affrontare le sfide dell'umanità come abbiamo fatto finora, per il semplice fatto che le soluzioni che abbiamo trovate hanno peggiorato e non migliorato le cose.
Non parlo, attenzione, dei progressi scientifici che ci hanno portato a debellare malattie che nei secoli passati hanno falcidiato l'umanità.
Non parlo delle invenzioni che permettono ora di far vedere e sentire uomini che sono nati ciechi e sordi.
Ma parlo, ad esempio, di un modo di fare collettività che non permette a tutti di guarire dalle malattie e di iniziare a vedere e sentire.
L'illuminismo ha dato lo slancio alla scienza e alla ricerca (che sono indipendenti dal modo di gestire la res pubblica e quella privata) ma ha avuto anche una colpa: distruggere le radici dell'umanità.
L'illuminismo, visti i risultati a più di 200 anni di distanza, non ha messo l'uomo al centro dell'universo -come si era proposto- ma l'ha semplicemente mandato allo sbando.
L'uomo è diventato metro e fine a sé stesso.
Ma quale uomo? Esiste un uomo o esistono miliardi di uomini?
Noi non siamo una massa, non siamo il popolo.
Noi siamo individui, persone.
Abbiamo perciò bisogno di una nuova risposta, se vogliamo affrontare le sfide che abbiamo accantonato per la pandemia. E che nel frattempo hanno acquistato cento volte tanto in forza e virulenza proprio a causa del covid.
La tecnologia, che in sé è positiva e indispensabile, sta scalzando l'uomo dal trono che lui stesso si è costruito spinto dall'illuminismo. O meglio: chi ha in mano l'utilizzo della tecnologia sta riducendo in schiavitù chi non vi ha accesso.
Aver posto l'uomo al centro di tutto, lo ripeto, lo ha fatto diventare preda di un delirio di onnipotenza che ha fatto perdere il senso del 'tu', del 'noi'.
Solo la cultura può riportare la coscienza di essere 'comunità' e ridare forza e strumenti per far rinascere l'umanità.
Ciò che è accaduto nel rinascimento, che ha riportato l'uomo al centro dell'orizzonte culturale, filosofico, scientifico, spirituale, ma senza abbattere la sua storia, le sue radici.
Mi fermo qui, per ora, come fosse una prima parte, un'introduzione.
E aspetto i vostri commenti, graditi come sempre, perché i vostri commenti metteranno sicuramente sempre più carne al fuoco.
È vero che noi (io, voi e forse lo scarafaggio di Kafka) non cambieremo il mondo, ma potremmo rendere più vivibile quel pezzetto di terra che abitiamo.
Questo brano parla di ripartenza. Francesco Di Giacomo (che Dio l'abbia in gloria!) e il Banco ci raccontano la storia di un soldato che torna a Stalingrado...
 

 


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)