lunedì 12 luglio 2021

Io non vendo (racconto)

Chevrolet Bel Air 1957

Non sapevo dove altro pubblicare questo breve racconto e così ho pensato di ridare un attimo di vita al blog.
Non è niente di che, anche l'idea non è per niente originale; ma cosa c'è che non sia stato già scritto da quando l'uomo ha cominciato ad imbrattare le caverne di disegnini?

 

IO NON VENDO (titolo provvisorio)


Sopra le nuvole c’è sempre il sole, da qualche parte.

Stava pensando così Gustav mentre tornava a casa.

Aveva chiuso una mezz’ora prima la gioielleria e ora voleva pensare solo ad una doccia, una mozzarella di bufala con olio e origano e una birra rossa.

Il tutto davanti alla TV che avrebbe potuto trasmettere qualsiasi cosa, perché a lui interessava solo il brusio di fondo.

Sopra le nuvole c’è sempre il sole, si diceva ripensando alla giornata di lavoro; e se le nuvole erano il negozio, il sole era la sua casa che l’aspettava accogliente.

Passò al semaforo col giallo e girò a destra sul viale che portava ad una serie di villette. La terza era la sua.

A cinquant’anni Gustav si teneva fisicamente ancora bene, grazie anche al tennis settimanale e al footing che praticava ogni mattina.

Era sempre stato uno sportivo e il suo metro e ottantacinque di altezza gli aveva permesso di sviluppare anche una muscolatura invidiabile.

Viso sempre ben rasato e capelli a spazzola (che ormai cominciavano a virare sul sale e pepe) lo facevano assomigliare ad un marine in servizio permanente.

Al contrario di Frederik, il suo socio nella gioielleria da più di dieci anni.

Frederik si era lasciato andare dopo che Eveline, la moglie, se ne era andata sei anni prima portandosi dietro la figlia. Il suo sport preferito era la scelta della bottiglia di vino da aprire e terminare nell’arco di un pranzo o una cena. E spesso anche di un mattino o di un pomeriggio.

Ma aveva la dote di essere simpatico ed empatico; un giullare, insomma.

Era per questo che Gustav lo aveva accettato come socio nell’attività: il suo savoir faire, il suo sapersi presentare ai clienti serviva alla causa specie quando l’acquirente era indeciso.

E un altro motivo  che aveva spinto Gustav ad allargare la società era che Frederik ci metteva un bel po’ di soldi.

Tuttavia questa loro miscela di caratteri e presenze non faceva molto bene alla ditta. Sempre più spesso ultimamente litigavano anche per minuzie, ma la ragione principale era che Frederik voleva mollare.

Più volte aveva chiesto a Gustav di sciogliere la società o almeno di avere la sua parte e liberarsi della gioielleria.

E questo Gustav non poteva permetterselo, soprattutto perché la parte di Frederik era la più grossa e lui non avrebbe saputo dove prendere i soldi per liquidarlo senza vendere la gioielleria che era molto ben avviata e con una clientela tra le più prestigiose della città.

Sopra le nuvole c’è sempre il sole, si diceva, ma ormai le nuvole erano arrivate fin lì: la Chevrolet Bel Air verde pistacchio di Frederik, infatti, era parcheggiata davanti a casa sua.

Gustav entrò nel vialetto che portava al garage e dallo specchietto retrovisore vide l’altra auto muoversi e mettersi dietro la sua.

E ora cosa c’è? si chiese. Non bastano otto ore al giorno di discussioni continue?

Scese dall’auto, prese la valigetta e si avviò verso la veranda in legno su cui si affacciava la porta di casa, facendo finta di non aver visto la manovra del socio.

- Ehi, Gustav!

La voce di Frederik era allegra, come sempre, come se fosse lì per organizzare il barbeque domenicale.

Gustav si girò mentre saliva i gradini e fece all’amico un cenno di saluto con la mano.

Il tempo di infilare la chiave nella toppa e Frederik era già dietro di lui.

- Anche stasera stessa solfa Gustav? Verdurine, fettina e patatine? Ma quand’è che cambi e provi un bel McDonald?

Gustav entrò in casa e aspettò che Frederik entrasse per chiudere la porta; sempre senza dire una parola.

- Quand’è che cambi tu, piuttosto? Non vedi come sei ingrassato? – disse Gustav mettendo la valigetta sul tavolo. Si tolse la giacca e sedette sul divano.

- Cosa vuoi, piuttosto? Non mi dire che sei arrivato fin qui solo per fare una lezione di dietetica? – continuò mentre Frederik sedeva sulla poltrona in finta pelle rossa che era ‘sua’ quando andava a trovare l’amico.

- Ok, stasera stai nervoso… - il tono della sua voce era calato almeno di un’ottava. – Vengo subito al punto: ho trovato un acquirente.

Gustav rimase a guardare l’altro per un po’. Non sapeva se farsi una risata, essere arrabbiato o far finta di stare a ragionarci su.

- Quindi mi stai dicendo che nonostante sai come la penso su questa cosa ti sei dato da fare, hai parlato in giro e, così per caso, un giorno ti si è parato davanti qualcuno che ti ha detto: “sai che c’è? ho sempre sognato di comprare una gioielleria!” È così, vero?

- Gustav! Non fare lo stronzo! È una cosa seria! – sbottò Frederik.

Il tono della sua voce era risalito e per un attimo sembrò virare verso l’incazzato. Poi si raddolcì nuovamente.

- Hai capito quello che voglio dire. Finora ne abbiamo parlato tutti i giorni ma sempre in astratto, come un progetto futuro. Ora invece è una cosa vera, attuale: c’è un tizio che vorrebbe rilevare la nostra attività e ad un prezzo che è anche superiore a quello che io avevo immaginato.

- Ecco: che tu avevi immaginato, perché come sai molto bene, io non ho nessuna intenzione di vendere la gioielleria.

Frederik stava facendo andare i neuroni a mille perché pensava che la cosa dell’acquirente possibile poteva portare una novità nelle loro discussioni permanenti.

Ma fu Gustav a parlare:

- Se proprio sei convinto della tua decisione, vendigli la tua parte e risolviamo così.

Frederik rimase spiazzato per un attimo, poi cercò di prender tempo.

- Ma guarda che non c’è niente di certo! Solo due chiacchiere al pub di sera. Si faceva per parlare, era solo un’idea: lui ha un bel po’ di soldi da investire e noi vorremmo andarcene in pensione a goderci la vita. Così ho pensato che le due cose potessero quagliare insieme…

- Le due cose – rispose Gustav – non possono quagliare come dici tu, perché io non ho nessuna intenzione di andare in pensione e quindi di vendere. Ti ripeto: se vuoi, vendigli la tua parte.

- Ma lui è un tipo decisionista, sai di quelli che sono abituati a prendere le decisioni personalmente su tutto e non è disposto a spartire…

Gustav l’interruppe:

- Ma avete fatto due chiacchiere o avete stesso proprio un contratto? Perché mi sembra che per essere solo due chiacchiere sono abbastanza approfondite.

- Ma no! Ci mancherebbe! Cosa vai a pensare! Dopo un paio di bourbon cosa vuoi che si facciano discorsi seri…

- Ecco, benissimo allora. La mia risposta è sempre quella che ti ho dato da quando abbiamo iniziato queste inutili discussioni.

Nel silenzio che seguì si udirono dei colpi alla porta.

- Aspetti qualcuno? Una cenetta galante? chiese Frederik buttando sul ridere una discussione che si stava facendo tesa.

- Ma quale cenetta galante, non aspetto nessuno… - rispose Gustav alzandosi e andando ad aprire.

Quello che successe dopo accadde in pochi istanti.

Appena Gustav ebbe aperto la porta due uomini col volto coperto da un passamontagna fecero irruzione nella stanza. Tutti e due erano armati.

Il primo ad entrare puntò la pistola contro Gustav e lo spinse fino a farlo cadere sul divano, mentre l’altro chiudeva la porta.

- Lui chi è? – disse l’uomo facendo segno verso Frederik.

Gustav riprese subito il controllo e disse a sua volta:

- Chi siete voi, piuttosto, e cosa volete?

L’uomo, alto e robusto, ribatté:

- Io faccio le domande, perché io ho questa – e mostrò l’arma.

Nel frattempo l’altro uomo era andato dietro la poltrona di Frederik e gli stava puntando la pistola alla nuca.

Gustav capì che era meglio assecondare quella gente.

- Lui è Frederik, un mio amico.

- Ah, il tuo socio!

- Come fate a sapere… -  cominciò Gustav, ma l’uomo lo interruppe:

- Sappiamo, certo che sappiamo. Sappiamo che hai, anzi avete, la gioielleria ed è per questo che siamo qui.

- Cosa c’entra la gioielleria?

- C’entra, perché nella gioielleria ci sono i gioielli e i soldi. Sappiamo che non versi mai l’incasso giornalmente, che metti tutto in cassaforte e vai in banca una volta la settimana, cioè domani. Perciò ora lì dentro ci saranno un bel po’ di soldi ad aspettare. E, se non l’hai capito, aspettano noi.

Gustav cominciò a focalizzare la situazione: era come aveva letto tante volte nei libri gialli: i cattivi arrivano a casa, sequestrano la famiglia e poi aspettano che uno di loro vada a prendere i soldi. Se non torna, i cattivi fanno una strage. Ma lui non aveva famiglia e loro non sapevano che Frederik era lì…

- Il nostro piano era un po’ diverso, veramente… - disse l’uomo incappucciato. – Saremo dovuti andare tutti insieme a fare una passeggiata per prendere i soldi, ma ora c’è il tuo amico e socio qui, quindi si fa una variazione sul tema. Io e lui restiamo qui a fare compagnia a … come ha detto che ti chiami? disse rivolgendosi a Frederik.

- Frederik e…

- Non mi interessa altro. Stavo dicendo che noi restiamo qui a fare compagnia a Frederik e tu vai a prendere i soldi. Non vogliamo i gioielli, ché quelli si riconoscono facilmente e si possono rintracciare. I soldi invece hanno tutti lo stesso profumo. Hai … vediamo … un’ora e mezza per andare e tornare con la valigetta piena. Se non torni in tempo … penso che tu abbia capito cosa succederà al tuo amico e socio, vero?

Gustav assentì col capo. Rimase ancora qualche secondo seduto, poi si alzò e andò verso il tavolo.

- Dove vai? – sibilò l’uomo.

- Mi serve la valigetta se devo metterci i soldi.

- Ok, te la prendo io, non vorrei tu avessi qualche sorpresa dentro.

- Ma quale sorpresa…

L’uomo prese la valigetta, la aprì e svuotò il contenuto sul tavolo: qualche foglio intestato, uno spazzolino e un pettine.

- Che vita grama che fai, amico! Neanche una rivista porno, qualche foto di squinzie, che so’…

- Gliel’ho sempre detto che fa’ una vita da monaco certosino! – esclamò Frederik.

- Qualcuno ha chiesto il tuo parere, socio? – disse l’uomo voltandosi di scatto. – Tu sei solo merce di scambio adesso, capito?

- Ok… - mormorò Frederik.

- Eccoti la valigetta. Sai quello che devi fare e quanto tempo hai.

Diede la valigetta a Gustav e guardò l’orologio.

- Sono le 21:30, se entro le 23 non sei qui, preparati a dover pulire quella bella poltrona domattina. Non mi sembra di dover aggiungere che chiamare la polizia non è salutare per lui e a questo punto neanche per te, ti pare?

Gustav guardò Frederik che ricambiò uno sguardo terrorizzato.

- Vai, Gustav, fai presto…

- Hai sentito? Fai presto, l’orologio è già partito.

Gustav uscì. Stava ancora cercando di metabolizzare quello che era accaduto negli ultimi quindici minuti.

Andò verso la sua auto, ma mentre saliva si rese conto che era bloccata da quella di Frederik. L’avrebbe dovuta spostare per uscire con la sua, ma pensò che avrebbe perso minuti preziosi.

Così andò verso la Chevrolet di Frederik e salì.

Le chiavi non erano nel quadro, ma sapeva che Frederik le teneva sempre nella tasca dello sportello.

Infilò la mano e le tirò fuori. Al portachiavi, una specie di fermaglio porta soldi in oro, rimase attaccato un foglio piegato in due. Lo gettò sul sedile del passeggero, sopra la valigetta.

A quell’ora non c’era molto traffico, ma era sempre bene rispettare il codice della strada, pensò Gustav; vedi mai che qualche zelante poliziotto decida che sto superando i limiti di velocità o abbia bruciato un giallo e mi fermi.

Uscì dalla traversa che dalla zona residenziale dove abitava immetteva sulla principale e dovette frenare bruscamente per non essere centrato da un pick up bianco che arrivava a tutta velocità.

La valigetta e il foglio caddero dal sedile, ma ora non aveva tempo per riprenderli.

Seguì il flusso del traffico.

Vide in lontananza un semaforo che era appena passato al giallo. Rallentò e si fermò allo stop dietro un paio di auto.

Si chinò a raccogliere valigetta e foglio e li appoggiò sul sedile. Buttò un occhio all’orologio dell’auto: erano trascorsi venti minuti, quindi era in perfetto orario.

La mente andò a casa dove c’erano Frederik e i due uomini armati.

Cosa sarebbe potuto accadere se non tornava in tempo?

Veramente alle ventitre e un minuto Frederik sarebbe stato ucciso?

Guardò verso la valigetta in cui doveva mettere i soldi e notò che il foglio che era poggiato sopra era intestato alla gioielleria.

Lo prese e cominciò a leggere. Era firmato da Frederik e aveva come destinatario un nome che non conosceva.

Sentì un clacson dietro di lui, alzò gli occhi e vide che il semaforo era diventato verde. Ingranò la marcia e ripartì gettando il foglio sul cruscotto.

Ma la curiosità lo vinse quando scorse sul foglio una cifra scritta in grassetto. Ed era una grossa cifra.

Nella testa cominciarono a rincorrersi immagini e situazioni.

Vedeva i due uomini armati e la cassaforte. Riandava alla discussione con Frederik di poco prima, al suo essere evasivo e gigionesco. Sentì lo stress a cui lo sottoponeva il socio, sempre con lo stesso argomento: vendiamo, vendiamo…

Accostò l’auto: doveva leggere quel foglio. un minuto in più non avrebbe mandato a monte l’operazione e sarebbe tornato in tempo a casa per evitare che Frederik fosse ucciso.

Prese il foglio e lo scorse con calma da cima a fondo.

In pratica era un impegno della gioielleria (non personale di Frederik ma della ditta!) a vendere l’attività al sig. Males entro sei mesi per una cifra che era sicuramente sovrastimata. (Doveva dare atto a Frederik, comunque, che ci sapeva fare veramente.)

Ecco il motivo della visita improvvisa del suo socio! Della sua insistenza malcelata!

Avrebbe fatto di tutto per convincerlo a vendere perché si era impegnato per iscritto. E, da quel che vedeva, si era già intascato una sostanziosa caparra.

Gustav rimase appoggiato sul volante a fissare il foglio.

Come aveva potuto arrivare a tanto? E come pensava di convincerlo?

Questo “scherzo” stavolta non glielo avrebbe fatto passare. Doveva capire che quando era troppo, era troppo. Una volta finita quella storia assurda e criminale, l’avrebbe affrontato a brutto muso.

Non la poteva passare liscia.

Guardò l’orologio del cruscotto: erano le 22:22.

Era in ritardo, per la miseria!

Sarebbe riuscito in tre quarti d’ora ad arrivare in gioielleria, aprire la cassaforte (ci volevano cinque minuti solo per sbloccare il sistema di chiusura informatizzato), prendere i soldi e tornare di corsa a casa?

Immaginava già di arrivare in ritardo anche solo di cinque minuti e di trovare Frederik morto, ucciso con un colpo di pistola in fronte.

Ripartì sgommando sul brecciolino.

Quel rumore di pietruzze schizzate contro la carrozzeria interna dell’auto fu come una frustata. Come se qualcuno l’avesse colpito e quel colpo avesse rotto un involucro in cui si trovava imprigionato.

Esisteva un Gustav…  dentro Gustav. Un Gustav che si era stancato di essere gentile con Frederik, che cercava di tenerselo buono perché, alla fine, aveva bisogno di lui, non solo economicamente.

Dieci anni vissuti insieme in negozio erano come dieci anni vissuti in famiglia, perché il negozio era la sua famiglia, la sua vita. E Frederik era in fondo l’unico parente che vedeva tutti i giorni.

Ma si sa che proprio i parenti spesso sono le peggiori persone con cui avere a che fare.

Lanciò l’auto in direzione della gioielleria.

Fece un chilometro, svoltò a sinistra e vide subito l’insegna, che restava accesa fino alle ventitre.

Si fermò in seconda fila proprio davanti al negozio.

Prese la valigetta e, prima di aprire lo sportello, lo sguardo ricadde sul foglio di Frederik.

No, no, gli bruciava troppo quella cosa fatta alle sue spalle.

Aveva sempre ritenuto Frederik un fanfarone, un frivolo, uno che si faceva portare dal vento del successo e dell’insuccesso; ma un traditore non l’avrebbe mai immaginato.

E invece… le prove erano davanti ai suoi occhi, nero su bianco e con tanto di firma.

Guardò l’orologio: le 22:53.

Materialmente non aveva più il tempo di prendere i soldi e tornare a casa. Ma avrebbe potuto fare una telefonata, giustificare il proprio ritardo e dire che sarebbe comunque arrivato con la valigetta piena.

Scese dall’auto e rimase con la mano sulla maniglia dello sportello.

Cominciò a piovere.

In fondo, pensò, non sarebbe stato lui a premere il grilletto contro Frederik; non era stato lui a organizzare il colpo.

E, soprattutto, la firma sull’accordo di vendita non era la sua.

Tornò in macchina e si accese una sigaretta aspettando che si spegnesse l’insegna della gioielleria.

 


2 commenti:

  1. Un mini thriller, ti è tornata la vena narrativa.

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    1. Magari! Ma tu sai meglio di me come va: quando hai una storia in testa la devi scrivere. La storia comunque è trita e ritrita. C'ho provato...

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