martedì 22 dicembre 2020

(Questo è) Un racconto di Natale

A Korvatunturi sin dai primi di Dicembre per le strade è tutto un andirivieni di auto, camioncini, slitte (in quel paese nevica sempre da ottobre ad aprile…) cariche di scatoloni.

E anche nelle case e nei capannoni nessuno sta mai fermo: chi risponde al telefono, chi corre da una parte all’altra per portare borse piene di letterine; o anche un semplice thermos di cioccolato caldo a chi non ha il tempo di fermarsi neanche un attimo per riscaldarsi.

Per le strade, decine di altoparlanti mandano musica che ricorda le prossime feste, ed anche il motivo per il quale quel paesino sperduto tra le foreste imbiancate esiste: Korvatunturi è infatti il paese di Babbo Natale.

(Ora, sono anni che gruppi di dissidenti fanno di tutto per eliminare le musiche a tutto andare. E non è che abbiamo proprio tutti i torti… Hanno anche proposto di variare la selezione o almeno di ringiovanire un po’ il repertorio, ma il sindaco e la giunta si sono sempre rifiutati di farlo. Anche se tutti danno per sicuro che sia stato Santa Klaus in persona a dire che… lui non lo farebbe.)

Santa Klaus (o Babbo Natale, come è meglio conosciuto) stava nella sua casetta ai margini del paese.

Oddio, non si poteva dire proprio una casetta, ma capite che dovendo ospitare anche un elfo cuoco, un elfo postino e un elfo tuttofare, di spazio ne aveva bisogno.

E poi c’era Amdir che, come dice il nome, è l’elfo che vigila su Babbo Natale.

Amdir sta da tanti di quegli anni con lui che è l’unico al mondo a poterlo chiamare semplicemente Klaus.

E quella mattina stava nella sala a fumare la sua pipa con il lungo cannello di giunco osservando il suo padrone.

“Klaus, ti vedo strano in questi giorni… Normalmente quando arriviamo a metà dicembre sei sempre euforico, salti a destra e a sinistra, dai ordini in continuazione. E invece ora te ne stai lì a fissare il ciocco che scoppietta nel camino… Cosa c’è? Sei preoccupato per questa cosa del virus?”

Santa Klaus aspettò un po’ a rispondere, e poi alzò gli occhi verso Amdir.

“No… cioè: sì, certo che sono preoccupato per tutte le persone che stanno morendo e per quelle che moriranno. Per tutti i bambini che non potranno trascorrere un Natale sereno. Ma mi dispiace che nonostante tutto, la gente continua a vivere del superfluo… “

“Ma per i bambini i giocattoli non sono il superfluo! Per loro giocare è vivere!”

“Certamente. Ma i loro genitori? Nessuno ha spiegato ai propri bambini che ci sono altri bambini che soffrono perché sono poveri e non hanno neanche da mangiare? E che con questa pandemia le cose si sono messe ancora più male? I bambini capiscono la sofferenza dei grandi, la percepiscono a pelle. Perché pensi che un bambino è triste quando vede un adulto triste? Perché un bambino si abbraccia alla mamma e cerca di rincuorarla con la sua presenza quando non la vede sorridente? Perché si fa vicino a lei e vuole dimostrarle il proprio affetto; non con le parole che forse ancora non conosce, ma con quello che ha: il proprio corpo, il proprio cuore… “

Santa Klaus rimase in silenzio, sulla sua sedia a dondolo, immobile. Poi continuò:

“Sì, forse hai ragione, dobbiamo andare avanti, per la gioia di tutti i bambini, però…”

“Capisco” l’interruppe Amdir, “ma tu non potresti fare un miracolo e far sparire tutto con un semplice battere della mano?”

“Io non sono autorizzato a fare i miracoli, lo sai… a meno che non sia il desiderio di un bambino” concluse Babbo Natale.

E i due tornarono a restare nei propri pensieri.

Nei giorni seguenti tutto continuò come sempre a Korvatunturi, con la frenesia dei giorni che si avvicinavano sempre più alla festa. E Babbo Natale era sempre al centro di ogni cosa, a dirigere, a incoraggiare gli elfi e gli uomini ormai stanchi ma sempre gioiosi.

Ma i suoi occhi erano ancora velati e il suo sorriso appena accennato.

Tutte le sere Amdir e il suo padrone sedevano davanti al camino a leggere le lettere che continuavano ad arrivare nonostante si fosse ormai a pochissimi giorni dal Natale.

“Trenini, trenini e ancora trenini!” sbuffò Santa Klaus. “Ma quanti ne vogliono, abbiamo già finito due scorte e ne ho ordinata un’altra che speriamo arrivi in tempo per domani.”

“Senti questa, Klaus!” esclamo scoppiando in una risata Amdir. “Questa bambina vuole che sua sorella la smetta di guardarsi sempre allo specchio e di fare quelle mosse sceme mentre ascolta la musica! Ahahahah!”

“Sono bambini, Amdir, sono bambini. E spesso i grandi sono più bambini di loro…”

Continuarono entrambi a leggere e a dividere le lettere in base a un criterio che solo loro conoscevano.

D’un tratto Amdir si fermò e prese a fissare il foglio che aveva in mano con uno sguardo strano e buffo, ancora più buffo perché fatto da un elfo.

“Klaus, guarda un po’ tu questa letterina. Io non ci capisco niente… Io parlo tutte le lingue del mondo, ma questa è incomprensibile” e si sporse porgendo il foglio a Babbo Natale.

Babbo Natale prese la lettera e la scorse, e il volto gli si aprì in un enorme sorriso.

“Perché tu non leggi col cuore ma con gli occhi, non sai leggere ancora la lingua del desiderio” disse il vecchio vestito di rosso.

Lesse ancora per un po’, poi esclamò:

“ Ci siamo, Amdir! Lo possiamo fare! Lo possiamo fare!” e saltò su dalla sedia con l’agilità di un ragazzino, nonostante i suoi… i suoi moltissimi anni.

“Cosa possiamo fare, Klaus?”

“Il miracolo! Possiamo guarire tutti gli uomini!”

Babbo Natale stava ancora ballando per la stanza. Amdir lo guardava trasecolato ma non riusciva ancora a mettere insieme i pezzi.

“Ti dispiacerebbe dire pure a me? Mi sembri un folletto ubriaco!”

Babbo Natale si calmò e tornò alla sua sedia a dondolo.

“Senti cosa dice questa lettera:

 

Caro Babbo Natale. Mi chiamo Luigino e ho cinque anni. Ti scrivo come so, perché ancora non vado a scuola, ma sono sicuro che tu capirai. Quest’anno penso di aver fatto abbastanza il bravo. Forse non dovevo strappare quel bel disegno di Myriam all’asilo, ma lei mi aveva rotto il castello di pongo che avevo fatto, e così siamo stati pari.

Ti volevo chiedere come regalo per Natale un aeroplano con tutte le luci e i suoni, che magari non volava, ma a quello ci pensavo io. E poi un bel fortino con gli indiani e i cowboy. Ma poi ho pensato: se non posso giocare con nessun bambino con questi giochi perché c’è questa brutta malattia, che me ne faccio? E poi la mamma mi ha detto anche che il nonno non c’è più perché se l’è portato via il virus… Allora ho pensato che per questo Natale non voglio né l’aeroplano e neanche il fortino (che magari poi chiedo alla Befana), ma vorrei che tu portassi via questa brutta malattia. Così io posso tornare a giocare con Myriam e Domenico e Salvatore e Amina. E anche tutti gli altri. E magari torna anche il nonno.

Ti prego, se puoi, di farmi questo regalo, che desidero tanto.

Ti saluto.

Luigino

 

“Capisci, Amdir! Ora possiamo fare il miracolo! Non si può lasciar passare il desiderio di un bambino!”

 

E così mentre nella notte del 24 Dicembre, Babbo Natale sorvolava il mondo intero per consegnare tutti i regali, sparse anche tanta polvere di stelle che uccise il virus e riportò il sorriso ai bambini e la serenità agli uomini.

 

P.S.: Luigino ha avuto comunque il suo fortino e anche l’aeroplano. Vuol dire che alla Befana chiederà qualche altra cosa.

 

 

 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

 

4 commenti:

  1. Eh, magari fosse possibile. Se davvero avvenisse, vado di persona a cercare Luigino per ringraziarlo a nome di tutto il genere umano.

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  2. Per questo è un miracolo! Altrimenti sarebbe la risoluzione di un'equazione matematica!

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  3. W Luigino!
    Un abbraccio e ancora auguri.

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